Metal Brigade: Live Report

Lo spazio esterno del Pala Treves di Pavia ha ospitato la prima edizione del Metal Brigade, una divertente kermesse che ha visto alternarsi sul palco ensemble della scena italiana con un occhio puntato in modo particolare sulle realtà underground. I nomi di spessore non sono comunque mancati, dalla mitica Bud Tribe alla comparsata di Andy Panigada (Bulldozer) insieme ai Death Mechanism. Spiace solo constatare come la risposta del pubblico locale sia stata notevolmente inferiore alle aspettative, nonostante l’impeccabile organizzazione e due splendide giornate di sole e divertimento.

17 LUGLIO

Le due band che hanno il compito di aprire le danze al Metal Brigade nella giornata dedicata al metal classico possiedono un punto in comune, quello di essere composte totalmente da energiche ragazze davvero appassionate di musica. Le Warsis salgono per prime sul palco. Le tre giovani arrivano dalla formazione delle Manogirls, tributo ai Manowar tutto al femminile e propongono nelle vesti delle Warsis un thrash metal compatto e moderno influenzato dai Pantera e dagli Slayer, senza dimenticare però la loro band preferita, omaggiata da un medley. Alle milanesi non mancano né l’impegno né la presenza scenica, ma bisogna lavorare ancora un po’ per ottenere un insieme più solido e superare le incertezze mostrate a livello esecutivo.

Si cambia nettamente contesto con le Rougenoir, anch’esse da Milano ma dedite a un hard’n’heavy vicino ai giganti degli anni ’70 e ’80. La band mostra innanzitutto una grande disinvoltura sul palco e un grinta tutta rock’n’roll, proponendo una scaletta che alterna pezzi storici dei giganti del rock duro a brani di produzione propria. Il sole è ancora alto e i primi visitatori accorsi pigramente trovano una bella sorpresa: trenta minuti di adrenalina e divertimento.

Passa invece un po’ in sordina la performance degli Hellcircles. Al gruppo di Cremona non mancano certo buone doti tecniche ma la proposta, devota ai principali esponenti del power metal nordeuropeo, mostra qualche cedimento strutturale e appare derivativa. A parte questo, osservazione dettata dai gusti personali e dunque opinabile, ai nostri oggi sembra mancare quel pizzico di convinzione in più e sul palco appaiono poco motivati.

Una bella scoperta, almeno per noi che non li conoscevamo, sono stati i Timesword. La band propone un prog metal forse un pochino datato stilisticamente, ma pur sempre estremamente ben suonato e sufficientemente coinvolgente. Saltano subito fuori i paragoni con la scena nostrana degli anni novanta, con tanti riferimenti ai maestri Dream Theater, ma anche un bel gusto personale nell’ideare gli scenari melodici. Bravi, davvero.

Ancora poco rodati dal vivo, ma da poco tornati sul mercato con un disco davvero strepitoso (di cui parleremo presto) sono invece i Dark Horizon. Il gruppo se la cava, comunque, piuttosto bene, ma viene penalizzato da qualche problema di troppo nei suoni. Una limitazione che impedisce forse ai brani più nuovi, ricchi di arrangiamenti e particolari, di rendere al meglio. La chiusura affidata alle song del disco precedente è infatti quella che riscalda maggiormente il pubblico presente. Un bilancio che si chiude tutto sommato in positivo, con la qualità della musica a sopperire ai problemi tecnici.

Arrivano subito i tostissimi Bejelit. Si comprende immediatamente che il gruppo ha un’esperienza live superiore alle band fin qui esibitisi. Una smaliziata tenuta del palco e tantissima carica adrenalinica sono i pregi più evidenti del gruppo. Bravissimo, anche dal vivo, il singer Fabio, ma nessun appunto da muovere neanche al resto della band. Dopo una scaletta suddivisa tra brani più recenti e altri ormai classici, l’esibizione si chiude con la fulminante esecuzione di “Mirror Mirror” dei Blind Guardian, tra la soddisfazione generale.

Tocca adesso agli Overmaster, band che ha debuttato da poco, ma che può comunque vantare musicisti di esperienza in line up, tra cui l’ottimo Gus Gabarrò (già singer dei White Skull). Il gruppo si lancia in una orgogliosa rivisitazione del metal classico, a metà tra il power americano e quello europeo, senza lesinare inserimenti che mettono in evidenza una preparazione tecnica di prim’ordine. Anche per loro nulla da dire sulla prestazione dei singoli e sulla resa d’insieme. Un’altra esibizione più che positiva in una giornata a cui da questo punto di vista è difficile trovare carenze.

A dimostrazione di ciò arrivano in chiusura una certezza come i Bud Tribe. La band si affida all’esperienza dei navigatissimi musicisti per confezionare uno show diretto e coinvolgente. Una vera macchina da rock n hard, che nonostante il non nutrito pubblico presente ha comunque messo l’anima in ogni nota. La scaletta si conclude con “Metal Brigade”, ad omaggiare un festival un po’ sfortunato, ma che ha comunque dimostrato come la qualità delle band di casa nostra sia ormai elevatissima. Chissà se un giorno se ne accorgerà anche il pubblico.

18 LUGLIO

Il secondo appuntamento con il Metal Brigade è dedicato invece alla musica estrema, toccata oggi in tutte le sue sfumature, tradizionali e moderne. Si comincia con i Nevrast, band locale dedita a un black metal old-school che tuttavia non disdegna alcune aperture melodiche. Il combo appare molto convinto e solido, forte di una presenza scenica notevole a base di war-paint. Alcune incertezze vocali non disturbano uno spettacolo di spessore.

Gli spezzini Carved sono stati la vera sorpresa del festival. La band propone un’ottima commistione di death melodico toccato da influenze moderne, con numerose parti di tastiera molto profonde e accenni di voce pulita. Un tocco di progressive e un animale da palco come il vocalist Christian rendono la loro prova ottima sotto ogni punto di vista, dalla musica all’intrattenimento. Sentiremo ancora parlare di questi ragazzi, ne siamo certi.

Interessanti, ma ancora un po’ troppo caciaroni sono invece i monzesi Holt, dediti a un metal possente, moderno e carico di groove che molto deve a Pantera, Slipknot (omaggiati anche da una cover) ultimi Sepultura e In Flames. La grinta e l’impegno sono dalla loro ma devono comunque impegnarsi ancora per ottenere un insieme più omogeneo.

Gli Art Of Silence, da Milano, sono invece devoti a un thrash/death dai toni tradizionali, di mestiere, ma certamente ben fatto. I brani del gruppo meneghino (citiamo “Twilight Of The Gods”, “Illusion” e “Glorius Death”) lasciano il segno, ma l’audience si scatena realmente in occasione della cover di “Angel Of Death” degli Slayer. Un ensemble senza grosse sorprese ma esperto e a proprio agio nella dimensione live.

Seguono i Mechanical God Creation, altro gruppo di Milano che offre un ottimo death metal tecnico, eseguito con una precisione sorprendente, vario e ricco di momenti di respiro melodico. La vocalist Lucy possiede un tono davvero aggressivo, interprete di brani del calibro di “Inhuman Torture Surgery”, “Trespass”, “Project Kill”, “Death Business” e la cover di “D.N.R.” dei Testament. Lo spessore tecnico è di alto livello, la tenuta di palco invece, fin troppo sobria, un po’ di movimento in più non avrebbe guastato.

Si torna a sonorità moderne con gli Shut Us Down, una band dai toni aggressivi ma carichi di groove, quasi nu-metal verrebbe da dire, tante sono le concessioni ai ritmi spezzati e sincopati del crossover. Il gruppo contempla ben due vocalist che si dividono il palco e rendono lo spettacolo divertente e ricco di interazione con i convenuti.

Anche i Within Your Pain possiedono una componente moderna di forte spessore, ma nel loro caso si potrebbe più parlare di una commistione tra death e metalcore. Sulle prime il gruppo tiene molto bene il palco offre uno spettacolo convincente, in seguito, complice anche un’affluenza di pubblico piuttosto scarsa, perde un po’ la bussola, lasciando troppo all’improvvisazione.

Da poco usciti con un nuovo album i Necroart sono un po’ i veterani della scena estrema locale. E chi ha avuto modo di vederli nelle date recenti sa cosa aspettarsi. Ormai il gruppo è assolutamente rodato e propone uno show con poche sbavature e tanta teatralità. Sempre estremi nel concetto i Necroart hanno ormai abbracciato una forma espressiva multiforme che li porta ad eseguire trame musicali al limite del symphonic-prog e del dark-doom più moderno. Una miscela che necessità sicuramente una certa attenzione per essere goduta al meglio, ma che lascia pienamente soddisfatti.

Vanno a chiudere la giornata, ormai davanti a ben pochi spettatori, i Death Mechanism. La band mostra da subito doti tecniche di un certo spessore, messe al servizio di un thrash-death a cui non mancano comunque impatto e violenza (ci verrebbe da descrivere l’insieme come un misto di Destruction, Slayer e Death). L’impressione che lasciano è di certo piuttosto buona, ma, a parte l’avvento sul palco come ospite di Andy Panigada dei Bulldozer, lo show rimane forse troppo freddo dal punto di vista emotivo. Comprensibilmente, visto che non deve essere il massimo suonare come headliner davanti ad una manciata di persone.

Una chiusura così così, per un festival che in ogni caso ha mostrato del buono, soprattutto nella qualità delle band alternatisi sul palco e nell’impegno dell’organizzazione. Peccato solo che la risposta della gente non sia stata all’altezza di tanta abbondanza. Vedremo al prossimo giro, se mai ci sarà.

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