Bellissima serata in quel di Cremona dove, al cospetto di tre grandi della scena metal americana degli anni ottanta, si è radunato un più che discreto numero di appassionati. In realtà l’ottimamente organizzato Luppolo In Rock ha già visto esibirsi altre due band quando raggiungiamo il luogo dell’evento, i Suicide Solution e i Necrofilia. Mi scuso quindi per non poter scrivere nulla sulla loro esibizione, ma in giornata di lavoro non è stato possibile presenziare in anticipo (in compenso abbiamo le foto).
SUICIDE SOLUTION
NECROFILIA
FLOTSAM AND JETSAM
Sono circa le 20 quando sul palco arrivano baldanzosi i Flotsam And Jetsam e la straordinaria band dell’Arizona mette subito in chiaro quale sarà il leitmotif della serata: nessuna deroga alla scaletta che vede in repertorio esclusivamente brani appartenenti alla loro anima più metallona. Se infatti l’ultimo album, ma anche in parte quello precedente, è stato un successo, lo si deve in gran parte al recupero di quelle sonorità anni ottanta che avevano fatto dei Flotsam una band amata anche qui in Europa… e proprio di questa fama conservata nel tempo paiono oggi compiacersi i nostri. Si attacca quindi con “Prisoner Of Time”, ottimo esempio di come si possa picchiare andando diritti come un treno, mantenendo però un’anima melodica (anche perché quando alla voce ti puoi permettere di presentare un cantante come Erik A.K., hai ben pochi limiti a cui sottostare). Da qui in poi la destrezza con cui i nostri si muovono sul palco è da navigati professionisti, perfettamente a loro agio sia con le composizioni più recenti, come “Demolition Man” e la tautologicamente madieniana “Iron Maiden”, che con i brani storici, come la violentissima “Desecrator” e l’incalzante “Hammerhead”. Colpisce come canzoni così distanti nel tempo conservino una coerenza invidiabile, tanto da poter essere proposte una dopo l’altra senza far avvertire alcun salto stilistico. Un effetto sicuramente cercato, che ha l’unico limite nel sacrificare fin troppo le variazioni che la band ha saputo evidenziare durante la carriera… ma tant’è, il pubblico vuole in maggioranza questo e loro sono qui per soddisfarne le aspettative! Nella parte centrale dell’esibizione la band si concede giusto un paio di lievissime escursioni dal tema dominante, proponendo una canzone molto bella e meno diretta, come “Suffer The Masses”, ma anche la più groovy “Life Is A Mess”. La deviazione appare comunque minima e sul finale si ritorna a picchiare sul tasto della classicità più epica, con “She Took An Axe” prima e la conclusione quasi scontata di “No Place For Disgrace”. Una mazzata via l’altra per una band che quando spinge sull’acceleratore ha davvero pochi rivali.
ARMORED SAINT
Meno aggressivi, ma anche decisamente più variegati nella scelta dei brani sono invece gli Armored Saint. La band di John Bush è reduce dall’ottimo risultato portato a casa con il tour dedicato al classico “Symbol Of Salvation” e forse proprio per non andare a ripetersi troppo, questa sera sceglie di mettere sul piatto l’intera sua discografia, proponendo dal suddetto lavoro solo l’irrinunciabile “Reign Of Fire” e il singolo “Last Train Home”. Ecco quindi che la scaletta diventa, agli antipodi, un vero e proprio percorso attraverso i mutamenti che la band ha saputo sostenere in carriera. Se infatti i momenti in cui il pubblico riesce a partecipare con maggior passione sono quelli che si legano a canzoni molto conosciute e di super impatto come quelle sopra citate, o anche “Can U Deliver” e “Rasing Fear”, anche i brani tratti dai dischi meno noti, come la fantastica “Creepy Feelings” e la convincente “Left Hook From The Right Filed”, hanno sicuramente contributo alla soddisfazione dei follower più attenti. Discorso a parte merita la facilità con cui la band riesce a muoversi tra cambi di ritmo e armonie mai scontate, dimostrando sia una compattezza da manuale che una qualità generale del songwriting che li pone tra le più personali formazioni dell’intera storia del genere. Manco a dirlo il concerto è inappuntabile: una dopo l’altra si susseguono canzoni come “Underdogs” (proposta per la prima volta dal 1987), “For The Sake Of Heavsiness”, “Seducer” e la recente “Win Hands Down”… per andare poi a concludere con due super classici del calibro di “Nervous Man” e l’inno “March Of The Saint”, mandando così in visibilio ognuno dei fan presenti. Commoventi.
METAL CHURCH
Chiudono una serata che rasenta già la perfezione i mitici Metal Church. Anche se l’ora ormai si è fatta tarda, almeno per la norma degli eventi attuali, che spesso si concludono prima della mezzanotte, l’entusiasmo della pubblico non pare minimamente scalfito… ed anzi, se le altre band avevano comunque ricevuto un caloroso benvenuto, la formazione di Kurdt Vanderhoof pare quella che più di ogni altra riesce a scaldare i cuori dei presenti. Sicuramente lo stile diretto e aggressivo, ma sempre ben incanalato verso un ritornello di presa e una melodia facilmente rintracciabile, è quanto di meglio il power metal americano abbia saputo produrre nella sua storia, ma anche la divertente ed istrionica presenza di un frontman come Mike Howe fa il suo nel coinvolgere le prime file. La scalette si bilancia perfettamente tra canzoni prese dai due album del ritorno, come “Damned If You Do” e “Needle And Suture”, ed altri che sono invece indubitabili classici, come “Badlands” o “Date With Poverty”. Il pubblico canta spesso e volentieri e l’atmosfera è di quelle che riconciliano con la musica. Un momento di emozione è inevitabile quando vengono eseguiti i pezzi proposti in origine dal compianto David Wayne, soprattutto quella “Watch The Children Pray” che rimane una delle canzoni che dal vivo più riesce a dare i brividi. Rispetto alla due band precedenti la posizione di headliner permette ai Metal Church una scaletta leggermente più lunga e la possibilità di dedicare al pubblico due extra nell’encore. Si arriva così, con l’immancabile “Fake Healer”, al termine di un viaggio che per qualità e valore storico è sicuramente da mettere tra gli eventi top dell’estate musicale. Un plauso va fatto anche agli organizzatori per avere permesso che tutto si svolgesse al meglio, ed al pubblico presente, la cui passione e voglia di esserci ha mostrato il volto migliore del micro-mondo chiamato Heavy Metal. Horns up!