Recensione: Rise To Glory

Anche se molti dalle nostre parti sembrano fare fatica anche solo a ricordarseli, per me un nuovo album della magistrale formazione giapponese è sempre un piccolo evento. Questo perché, a dispetto delle critiche un tantino miopi di chi si aspetta dalle band anni ottanta la continua riproposizione dei vecchi successi con i titoli cambiati, i nostri hanno spesso (non sempre) sfornato dischi di buona qualità e hanno saputo abbracciare la modernità senza perdere identità e tocco personale. Se poi siete tra quelli che amano la chitarra di un virtuoso per nulla tedioso come Akira Takasaki, anche gli album più groovy e noiosetti hanno spesso riservato buone cose sotto questi punto di vista.

E “Rise To Glory” sembra proprio l’album perfetto per essere inserito in questo discorso generale. Da un lato infatti cerca di non scontentare del tutto chi vorrebbe sentirli suonare qualcosa di più legato agli eighties, come accade per “Rise To Glory”, “Go For Broke”, “No Limits” o “Why And For Whom”, brani di hard & heavy giusto un pochino rammodernati, ma allo stesso tempo la voglia di suonare più pesanti, rallentati e groovy pervade una bella fetta della scaletta, forse fin troppo, specialmente nella prima parte del disco, dove si trovano up tempo più classici come “Soul Of Fire” e “The Voice”, brani aggressivi e ultramoderni come “I’m Still Alive” e “Massive Tornado” e un mid tempo cementificato come “Until I See The Light”. Tutto non male, ma esageratamente prevedibile nel suo attenersi a schemi abusati.

Come spesso accaduto nelle produzioni degli ultimi anni il vero punto debole, almeno per me, è la voce di Minoru Niihara, a cui vogliamo tutti strabene per quanto fatto nelle vecchie uscite, ma che oggi suona sempre sforzatissimo e, peggio, orrendamente monotono.A salvare tutto arriva, come avrete capito, la classe infinita di Takasaki (ma quanto è bella la strumentale “Kama Sutra”?), che spadroneggia tra riff chirurgici e assoli taglienti, gusto melodico e potenza schiacciasassi… vale letteralmente la pena di asc oltare “Rise To Glory” per appezzare la sua maestria.

Per il resto siamo di fronte ad un’uscita che non smuoverà di un solo millimetro la situazione: chi conosce e ama il gruppo anche nelle sue incarnazioni post novanta troverà sicuramente alcune cose per cui vale la pene spendere del tempo, gli altri faranno spallucce e passeranno ad altro, magari aspettandoli in sede live per ascoltarsi una “Crazy Nights” o “Let It Go”.

Riccardo Manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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