Leather – Recensione: We Are The Chosen

Di Leather Leone alcuni ricorderanno gli esordi a fianco di David Chastain: erano gli anni ottanta, e proprio con il chitarrista e produttore statunitense questa autentica pioniera del power al femminile produsse una serie di dischi di buon successo, che a partire da “Mystery Of Illusion” (1985) si sarebbero rivelati un viatico per una carriera che negli anni l’ha vista anche nelle vesti di solista ed all’interno di formazioni quali Malibu Barbi e Sledge/Leather. A distanza dal precedente “Leather II” del 2018, e con una pandemia nel mezzo giusto per rendere ancora più lunga e difficile l’attesa, l’interprete americana nata a San Francisco ed innamorata – artisticamente – di Ronnie James Dio torna con un album che si caratterizza innanzitutto per le esortazioni positive, per lo spirito ottimista, per l’entusiasmo con il quale invita a riprendere il controllo delle proprie vite e guardare al futuro con ritrovata speranza. Interamente registrato in Polonia e messo a punto insieme al chitarrista Vinnie Tex, “We Are The Chosen” si apre con un inno di stampo inequivocabilmente heavy, che utilizza la ritmica di chitarra ed i cori per dare al brano un impatto notevole.

Nonostante una produzione un po’ meccanica, che toglie qualche strato di genuina ruvidezza al risultato finale, il disco di Leather propone un esempio di peso al femminile di intensità piuttosto rara: in barba agli anni che passano (parliamo di un’artista classe 1959, che non è carino sottolinearlo ma contestualizza), il piglio con il quale la frontwoman si muove tra queste trame così implacabili e rocciose (“Always Been Evil”) la avvicina più ad una rabbiosa Alissa White‑Gluz (Arch Enemy) che non alle ottime cose che altre signore del metal hanno realizzato lasciandosi tentare dagli impetuosi flutti della melodia. Nonostante l’approccio particolarmente tosto, non siamo però di fronte ad un disco monocorde: al contrario, in brani più lenti come “Shadows” e soprattutto “Hallowed Ground” non c’è solamente spazio per ottimi assoli ed eleganti intermezzi, ma anche l’occasione di dare giusto risalto ad una voce che – al bisogno – sa anche farsi più femminile ed accomodante. Peccato, anzi, non poterla ascoltare in un maggior numero di occasioni in questa veste. Una menzione a parte la merita poi l’intrigante title-track, un mid-tempo arricchito da un’elegante introduzione sinfonica ed uno sviluppo armonico che sfocia in un ritornello semplice eppure efficace.

Se di limite si può parlare, che altrimenti su “We Are The Chosen” sarebbe tutto troppo bello per essere vero, questo risiede probabilmente nell’aspetto del songwriting che, se da un lato appare tagliato su misura sulle caratteristiche della cantante californiana, dall’altro non brilla per estro e creatività. Insomma, la personalità dell’americana è assolutamente necessaria per fare di questo lavoro un ascolto interessante, ma non sempre sufficiente a chiudere brillantemente il cerchio laddove il brano di per sé non appare del tutto indovinato. Complice una certa omogeneità dei suoni, che affievolisce soprattutto l’impatto di una sezione ritmica un po’ trascurata, questo album finisce così con l’assumere le forme di un’intrigante promessa che non trova però mai una compiuta, soddisfacente realizzazione. Tracce come “Off With Your Head” e “Tyrants”, ad esempio, denotano un certo squilibrio tra la parte riservata a voce & chitarra e tutto il resto, che accompagna con una passività disinteressata che con lo spirito metal più autentico c’entra purtroppo poco. Minuto dopo minuto, canzone dopo canzone “We Are The Chosen” assume sempre più le fattezze di un lavoro fatto soprattutto per compiacere i suoi due principali interpreti, dimenticando però di volgere uno sguardo all’ascoltatore, al mercato ed al senso di una rocciosità graffiante (questo è bene) ma a lungo andare anche un po’ fine a se stessa (questo è male). Un disco del genere non aspira probabilmente allo status di ascolto fondamentale, anche a causa delle citate mancanze dal punto di vista della composizione e della produzione, ma raggiunge senza affanni un paio di risultati non trascurabili. Il primo è quello di testimoniare l’assoluto stato di forma della cantante americana, completamente padrona della scena (ascoltare “The Glory In The End” per credere) e per nulla intimorita dalla centralità che la sua interpretazione riveste per le sorti di questo lavoro; il secondo è quello di farsi portatore di un messaggio, quello di un heavy tradizionale rivisitato con amore in chiave femminile, nel quale l’intero genere può trovare quel guizzo, quella scintilla e quella viscerale passione utili a scriverne una nuova pagina e necessari ad assicurarne il futuro.

Etichetta: SPV / Steamhammer

Anno: 2022

Tracklist: 01. We Take Back Control 02. Always Been Evil 03. Shadows 04. Off With Your Head 05. We Are The Chosen 06. Tyrants 07. Hallowed Ground 08. Dark Days 09. Who Rules The World 10. The Glory In The End
Sito Web: facebook.com/LeatherLeone

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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