Krokus + Uriah Heep: Live Report e foto della data di Zurigo

Torniamo in Svizzera per un concerto unico nel suo genere, che vede il connubio fra due band storiche, accomunate da una grande amicizia ma differenti per stile musicale. Nonostante queste differenze di base e un’età media sul palco (e anche fra il pubblico) dignitosamente elevata, Krokus e Uriah Heep danno vita, ancora una volta, a un live entusiasmante.

B.B.R.

Ad aprire le danze ci pensano gli svizzeri i BBR, acronimo che sta per Buddies, Beer & Rock’n’Roll (tutto vero, giuro!), le cui caratteristiche essenziali non stanno certo nel buon gusto nella scelta del nome o nella ricercatezza del look, bensì nel proporre un solido e classico heavy metal nel solco della tradizione. La band ha sufficiente energia e attitudine da palcoscenico per riscaldare il numeroso pubblico presente, fra brani propri e qualche cover (una metallizzata di Johnny Cash per festeggiare il compleanno del batterista ed una ultra classica “Whola Lotta Rosie”). Onesti e divertenti, hanno fatto per bene il loro dovere.

URIAH HEEP

Se le band fossero una tipologia di persona, i Krokus sarebbe quell’amico caciarone e casinista che tutti noi abbiamo avuto almenoi una volta, ma gli Uriah Heep sarebbero l’amico erudito e intelligente che, quando serve, fa casino come e più degli altri. Avevamo visto la band in azione pochi mesi fa a Milano, e già allora ci eravamo resi conto dello stato di salute eccellente di Mick Box e compagni, a dispetto, ancora una volta, dell’età anagrafica. Anche sul palco dell’Hallenstadion questa impressione è stata confermata da uno show in elettrico che consiste in una carrellata essenziale di alcuni fra i loro successi più importanti. Ecco, l’unica pecca dell’esibizione potrebbe essere proprio quello di avere puntato solo sul repertorio del passato e non su estratti dall’ultimo album. Intendiamoci, fa sempre piacere riascoltare brani come “Traveller In Time”, “Too Scared To Run” o “Sunrise”, anzi la scelta di riproporre solo successi del passato puà derivare dal fatto che quella in Svizzera è più una rimpatriata fra amici. Ancora una volta restiamo ammaliati dalla presenza scenica incredibile di Bernie Shaw e dalla serenità dei sorrisi di Mick Box, che non gli impediscono però di sfoderare un assolo dopo l’altro con una precisione chirurgica, accompagnati dai cori melodici che impreziosiscono i brani con le loro trame.

Anche quando la band ripercorre i brani più celebri, da una scatenata “Gypsy” alla soffusa “July Morning”, per arrivare a “Lady In Black”, ovvero come scrivere un brano epocale con solo due accordi di chitarra, gli Uriah Heep si mantengono sempre su alti livelli di sofisticata immediatezza, e con l’intelligenza dei loro brani riescono a coinvolgere la numerosa platea svizzera dal primo all’ultimo partecipante. Si chiude come sempre con “Easy Livin'”, degna conclusione per una band che, dopo 53 anni dalla sua fondazione, non ha la minima voglia di fermarsi. Vincitori della serata, per quanto riguarda l’aspetto tecnico.

KROKUS

I Krokus sono a tuti gli effetti la hard rock band elvetica per eccellenza (e non ne vogliano i fans dei pur eccellenti Gotthard), con oltre 45 anni di carriera e una corposa discografia che, pur fra alti e bassi di qualità e ispirazione, non è certo prerogativa di tutti. Nonostante l’annunciato scioglimento del 2019, evidentemente ci devono aver ripensato e, almeno limitatamente ad alcuni concerti, abbiamo avuto l’occasione di rivederli in azione. Per chi, come il sottoscritto, li aveva scoperti nell’82 a Discoring (un programma musicale televisivo della domenica pomeriggio di quegli anni) eseguire il brano “Bad Boys Rag Dolls” (purtroppo non presente in scaletta) facendo scoppiare un amore a prima vista, il fatto di vedere un Hallenstadion così pieno di pur attempati spettatori, ha fatto un gran piacere. Anche perché i Krokus dal vivo sono una certezza, delle perfette macchine da hard rock’n’roll, da sempre sicuramente derivativo, ma incontestabilmente ben scritto e incredibilmente trascinante. La mitragliata iniziale di “Headhunter”, seguita dal ficcante mid tempo di “Long Stick Goes Boom” (i brani d’apertura dei due loro album migliori), la cover di “America Woman” dei Guess Who (il tutto accompagnato da fuochi e video), il tiro di “Hellraiser”, hanno fatto vedere una band in ottima forma, trascinata dalla voce ancora efficacissima di Marc Storace. Tutto il concerto, della durata di un’ora e 45, ha proseguito su queste coordinate, hard rock dai riff lineari, batteria (dell’ottimo Flavio Mezzodi) in 4/4 permanenti e ben picchiati, assoli pentatonici scambiati da Fernando Von Arb e Mandy Mayer, e le solidissime ritmiche di Mark Kohler e Chris Von Rohr. Certo nel repertorio c’è stato lo spazio per qualche ballad (“Tokyo Nights”, “Screaming in The Night”), ma a prevalere è stata quella voglia di rock semplice e diretto, da cantare in coro e far muovere la testa in cui la band svizzera è una indiscussa maestra. Il repertorio, del resto, è stato una sorta di greatest hits dei loro classici, pescando sia dal passato (“Eat The Rich”, “Fire”, “Easy Rocker” con un video d’accompagnamento notevole) a momenti più recenti come “Hoodoo Woman” o “Hardrocking Man”. C’è anche stato lo spazio per un’ulteriore cover, il classico di Neil Young “Rocking In The Free World” prima della chiusura con “Heatstrokes”. Gli acclamati bis, che su “Dirty Dynamite” hanno visto ospite a voce e cori Gölä, cantante svizzero evidentemente molto noto da quelle parti, sono stati chiusi trionfalmente con il classico “Bedside Radio” in un tripudio da parte del pubblico per gran un concerto dal quale è stato impossibile non uscire carichi e soddisfatti.

I Krokus, dicevamo, non sono certo mai stati dei raffinati ricercatori di chissà quali innovazioni musicali, ma per dire, se per sbaglio avete ascoltato i Radiohead con un conseguente stato d’animo come quando a Bambi gli muore la madre, una massiccia dose degli svizzeri risolverà tutto. Lo spirito è quello, e per fortuna che c’è chi, come loro, ancora sa interpretarlo in modo così fresco, convincente e coinvolgente.

Setlist:

1. Headhunter

2. Long Stick Goes Boom

3. American Woman

4. Hellraiser

4. Hellraser

5. Winning Man

6. Tokyo Nights

7. Hardrocking Man

8. Hoodoo Woman

9. Eat The Rich

10. Fire

11. Rocking In The Free World

12. Easy Rocker

13. Heatstrokes

14. Screaming In The Night

15. Dirty Dynamite

16. Back Seat Rock’n’Roll

17. Bedside Radio

anna.minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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