Recensione: Requiem

Per chi scrive, i Korn stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza, iniziata con il sufficiente “The Paradigm Shift” nel 2013, confermata nei bellissimi “The Serenity Of Suffering” e “The Nothing” nei sei anni successivi e riprovata in questo “Requiem“, annunciato quasi a sorpresa lo scorso novembre con la pubblicazione del singolo “Start The Healing“.

Il viaggio della band di Bakersfield è iniziato quasi 30 anni fa, ha avuto molti picchi (almeno fino a “Untouchables”), qualche calo nella prima metà del nuovo millennio, ma è stato sempre coerente e in cerca di ispirazione innovativa, nonostante i diversi cambi nella formazione, ultima la pausa “forzata” del bassista Fieldy per curare le sue dipendenze. Nota iniziale di merito per i testi di un Davis mai così positivo e speranzoso, soprattutto pensando alla disperazione esposta nel precedente album, figlia della morte della madre e della separazione con la oramai ex moglie. Una produzione potente, tra l’altro analogica, ad opera della band stessa insieme a Chris Collier (tra gli altri suoi album dietro alla console, Lynch Mob, Prong e l’ultimo lavoro dei Fear Factory), dove risaltano la vocalità di Davis, l’abrasivo suono della chitarra di Munky e le dinamiche di Ray Luzier dietro alle pelli, qua meno scorbutico del solito, ma estremamente preciso e performante; il basso di Reginald “Fieldy” Quincy Arvizu è meno riconoscibile che in passato, forse volutamente e verrà riproposto in sede live da Roberto “Ra” Díaz dei Suicidal Tendencies.

“Requiem” è un disco estremamente corto, 9 pezzi per un totale di nemmeno 33 minuti; l’openerForgotten” parte con un riff quasi funky di Munky e mette subito in chiaro che l’ispirazione della band è notevole. “Let The Dark Do The Rest” ci regala le atmosfere remote di “Issues“, almeno inizialmente, per poi portarci nella melodia vocale di un Davis veramente notevole nella sua straniante ariosità. “Start The Healing” abbiamo già avuto modo di studiarla nelle settimane scorse, mentre “Lost In The Grandeur” è il singolo più recente, dove ancora una volta le aperture melodiche della linea vocale la fanno da padrona. “Disconnect” è senza dubbio uno dei punti più alti, con un Munky che ci ricorda ancora una volta il motivo per il quale il suo suono sia diventato una sorta di marchio di fabbrica; riuscita anche “Hopeless And Beaten“, con il suo incalzante groove ribassato e il growl di Davis a scandire le parole del ritornello, sicuramente più della minimal e notevolmente melodica “Penance To Sorrow“. “My Confession” riporta alta l’attenzione, anche grazie allo strepitoso lavoro ai piatti di un grandioso Luzier, ma il “momento nostalgia” arriva con l’ultima traccia di “Requiem”, quella “Worst Is On Its Way“, vero highlight dell’album, che ci ricorda chi ha reso così celebre lo scat, soprattutto nella celeberrima “Twist“, oltre 25 anni fa.

In conclusione, “Requiem” è probabilmente il full length più coerente dei Korn da molti anni a questa parte, anche grazie alla rinnovata positività del suo leader e ci offre la possibilità di fantasticare sul prossimo futuro di una band che continua tutt’ora a stupire. 

(Manuel Andreotti)

Non si può certo gridare al miracolo discografico, ma i Korn hanno ritrovato la via maestra. Di sicuro non pretendo un nuovo “Issues”, ma in “Requiem” ritroviamo un po’ di anima lasciata per strada tra le ultime release. Non so se possiamo considerarlo un lampo nella notte, ma ci sono finalmente quegli elementi che hanno reso immortale il sound dei Korn, lasciando da parte tutte gli effetti elettronici che li hanno caratterizzati recentemente e che sono caduti nel dimenticatoio se non in rarissimi casi.

Di conseguenza nel 2022 troviamo dosi generose di chitarre droppate e qualche richiamo molto più che esplicito verso quel passato tanto caro e amato dai più anziani. Un Jonathan Davis davvero sul pezzo ma un Fieldy sottotono per via (molto probabilmente) del suo percorso al centro di recupero per alcolisti/tossico-dipendenti: infatti il basso è lo strumento che reputo principe nella band ma si sente troppo poco, finendo così per essere un semplice sottofondo e non più un pilastro portante dei Korn. Mi chiedo dunque se ci sia effettivamente lui dietro alle registrazioni e non semplicemente “creditato” in quanto comunque ancora parte effettiva della band.

La coppia Head & Munky invece riesce a creare delle ottime linee di chitarra mischiando trovate old school a qualcosa di più dritto e corposo. È indiscutibile l’impegno messo dal duo per cercare di ritrovarsi in questi anni super travagliati, ma l’obiettivo è stato centrato? Non del tutto, nonostante un suono che rispecchia totalmente la filosofia del gruppo, si sono appoggiati un po’ troppo spesso ad eseguire le solite cose rischiando di ascoltare un disco ripetitivo. Ciò fortunatamente non accade in modo totale, ma l’ascolto continuo fa trasparire questo aspetto non trascurabile. C’è comunque da premiare un sincero impegno nel ricreare le atmosfere di metà anni ’90 dopo un’intera carriera e più di un terremoto nella line-up.

Ray Luzier invece porta a termine un ottimo lavoro alle pelli anche perché, parliamoci chiaro, il nu-metal non è famoso per tecnicismi e per palati fini. L’impatto è importante e ci sta bene nel complesso, quello che ci si aspetta da un disco dei Korn che suona, finalmente, il loro genere.

Inquadrato il set, passiamo alla solita questione mixing e mastering: veramente ottimo! Solo strumenti, niente elettronica buttata lì a casaccio ed ecco che “Requiem” assume finalmente una spina dorsale degna della storia della band. Suoni belli cicciotti con chitarre basse, un basso presente anche se meno del previsto ma quello che fa la scena del primo della classe è sicuramente Jonathan Davis. Vocalmente parlando lo posso inserire tranquillamente come una delle migliori performance degli ultimi tempi, almeno da “See You On The Other Side”, e stiamo parlando di un lasso di tempo di 16 anni!

Non tanto dal punto di vista dei testi che si sa, non sono mai scontati e stranamente più solari del solito, ma proprio come interpretazione e quindi sale la curiosità di capire come li affronterà dal vivo.

Detto ciò speriamo sia l’inizio di un ritorno alle origini con le dovute distanze dettate dall’età, dalle circostanze, dall’esperienza, ma questo “Requiem”, registrato praticamente in modo indipendente e analogico (senza troppe pressioni esterne), ha fatto uscire sicuramente un lato dei Korn che era soffocato da troppo tempo.

Non è un disco miracoloso, ripeto, ma è un lavoro onesto e ben interpretato per una band che ne ha passate di ogni e si vede dopo 30 anni (l’anno prossimo…) a rifare tutto da capo e da soli. Promosso!

(Riccardo Quarantini)

A caratterizzare questi primi mesi del 2022 giunge il nuovo disco dei Korn, storica band capitanata da Jonathan Davis e giunta alla quattordicesima prova in studio. Il platter si intitola “Requiem” ma è tutt’altro che una preghiera per i defunti: il combo di Bakersfield, infatti, dimostra di essere più vivo che mai, regalandoci nove brani per poco più di trenta minuti di musica.

Sin da questi primi dati appare evidente la volontà di Davis e soci di asciugare ulteriormente la loro proposta e puntare tutto sull’immediatezza; e, ascoltando l’opener “Forgotten”, queste impressioni vengono confermate: un sound corposo ma diretto, strofa dal riff roboante, ritornello melodico che vi resterà subito impresso nella testa e l’ormai solita interpretazione di un Davis davvero ispirato. Le peculiarità di questo brano si ripresenteranno anche nei successivi, impreziositi di volta in volta da sfumature diverse: ora con un piglio più oscuro (“Let The Dark Do The Rest”), ora più disteso (“Start The Healing”), ora più frenetico (“Lost In The Grandeur”). Naturalmente, il tutto rielaborato in perfetto stile Korn.

A questo punto è doveroso fare un distinguo: se vi aspettavate dal gruppo un ritorno alle sonorità degli esordi, allora potete tranquillamente proseguire nell’ascolto di “Requiem”, o non avvicinarvi proprio. Se, invece, avete seguito le vicissitudini di un gruppo che ha apportato nuova linfa alla scena Metal più di venticinque anni fa, allora saprete sicuramente in che maniera i Nostri hanno aggiornato il proprio sound: restando fedeli alle idee del proprio leader, reagendo ai cambi di line-up e alle problematiche dei singoli membri, i Korn sono arrivati nel 2022 forti di un’evoluzione convincente, coerente e affascinante. Il risultato è questo “Requiem”, un’esperienza d’ascolto più che appagante che trova – per chi scrive – in “Disconnect”, “My Confession” e nell’opener i suoi punti più alti.

Se ogni opera artistica è specchio dello stato d’animo del suo creatore, allora questo disco ci restituisce un gruppo in salute, convinto dei propri mezzi e ancora pronto a smuovere la nostra anima con la propria musica. Senza tanti giri di parole, questo non è un requiem per i Korn, ma l’esaltazione della loro vitalità.

(Pasquale Gennarelli)

Korn Requiem

Pasquale Gennarelli

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"L'arte per amore dell'arte". La passione che brucia dentro il suo cuore ad animare la vita di questo fumetallaro. Come un moderno Ulisse è curioso e temerario, si muove tra le varie forme di comunicazione e non sfugge al confronto. Scrive di Metal, di Fumetto, di Arte, Cinema e Videogame. Ah, è inutile che la cerchiate, la Kryptonite non ha alcun effetto su di lui.

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