King Diamond: Live Report della data di Trezzo D’Adda (MI)

Nessun disco da promozionare, se escludiamo la ristampa di ‘Abigail’, nessuna vera novità da proporre, ma uno show del Re Diamante è sempre qualcosa che non bisognerebbe perdersi per nulla al mondo. E un Live Club bello gonfio di pubblico sembra dimostrare che non sono in pochi a pensarla come noi… ma andiamo per ordine. La serata viene inaugurata dai Griffin, band di origine norvegese che ci ricordavamo dedita ad un misto di thrash ed heavy metal piuttosto particolare e che ritroviamo decisamente asciugata della componente thrash in favore di un power-metal selvaggio e a tratti disarticolato. Uno spettacolo divertentissimo, un gruppo che suona con passione e riesce a trasmetterla (vedere ad esempio un’esecuzione selvaggia della cover finale di ‘Hell Bent For Leather’), ma anche qualche limite di troppo nella qualità delle composizioni. Più maturi sembrano i Thunderbolt, anche loro norvegesi e con un nuovo album in uscita. Il loro suono offre tributi soprattutto alla scena americana del metal raffinato anni ottanta: Queensryche, Fates Warning su tutti, ma qualche accenno più doom rimanda anche ai Veni Domine. Nel complesso un gruppo preparato, ma uno show penalizzato da suoni pochi esplosivi che finiscono per l’appiattire le song. Dopo l’allestimento di rito tocca all’headliner. All’intro di ‘Abigail’ la folla esplode: loschi figuri sistemano una cancellata removibile sul palco e trasportano una tomba al centro, mentre viene celebrato il funerale di Abigail. La prima parte del concerto è dedicata esclusivamente al concept del disco (parte I e parte II), con una band straordinaria a supportare l’interpretazione drammatica di un Re in grande forma ben coadiuvato da una avvenente comparsa (un modella/attrice che interpreterà i ruoli femminili dei vari capitoli). Brividi incontenibili seguono l’introduzione di ‘Family Ghost’, ma anche i meno entusiasmanti estratti dal secondo capitolo (uscito ben tredici anni dopo il primo) riescono in sede live a farsi rispettare. Alla fine del primo atto vengono rimosse le cancellate e da adesso in poi ogni esecuzione sarà pescata in modo da garantire una sorta di viaggio virtuale tra le tappe salienti della carriera del nostro, una specie di giostra della memoria in cui perdersi estasiati. Impeccabili sotto tutti i punti di vista i nostri snocciolano il loro personalissimo rosario: ‘Come To The Sabbat’ (dal periodo con i Mercyful Fate), ‘Sleepless Nights’ (uno dei migliori brani in assoluto mai composti dal Re), ‘Welcome Home’, ‘Eye Of The Witch’, ‘Invisible Guests’ e alcuni brani tratti dal più recente ‘Puppet Master’ (‘Blood To Walk’, ‘So Sad’ e ‘Living Dead’). Un pubblico in visibilio inneggia di continuo allo stesso King Diamond e a Andy LaRoque (ma non sarò che quel geniaccio di Mike Wead finisca con il sentirsi un po’ sottovalutato?) e la soddisfazione della band per tanta devozione appare concreta. Lo spettacolo si impenna ulteriormente in chiusura con un doppio rientro che poggia sulla bilancia alla voce “+” un evergreen come ‘Halloween’ e una splendida versione del superclassico dei MF ‘Evil’. Da paura.

Riccardo Manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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