Recensione: Karma Machine

I Kill Ritual si presentano con una line-up del tutto rinnovata, con la sola, ed ovvia, eccezione del leader Steve Rice. Quale sia il peso di quest’ultimo nell’economia del gruppo si capisce perfettamente dal fatto che nonostante cambiamenti così profondi questo “Karma Machine” si distingue a malapena dai due lavori precedenti.

Si tratta infatti sempre e comunque di solido heavy/power metal di stampo americano, come siamo abituati ad ascoltare dalla band, così come la qualità rimane sui consueti buoni livelli di professionalità e scorrevolezza, senza per questo impressionare più di tanto per ciò che riguarda il songwriting.

Le canzoni qui raccolte presentano infatti tutte le caratteristiche principali del genere: potenza, precisione esecutiva e melodie vocali sopra le righe. Brani aggressivi come “Just A Cut” o la thrashy “The Enemy Inside” si alternano ad altri di maggiore melodia, come “The Key”, capace di un incipit con chitarra acustica per poi evolversi verso un ritmato e potente power di stampo U.S.A. o “My Green Room” e “Camera’s Eye”, meno tirate e più ragionate. L’insieme piace, ma non presenta di fatto alcuna particolarità o diversità che possano elevare i Kill Ritual al di sopra di quanto già presentato in passato (e aggiungeteci anche la carriera degli Imagika, che comunque facevano riferimento in gran parte allo stesso Steve Rice).

D’altro canto il non rischiare nulla ci permette di ascoltare una band perfettamente a proprio agio con quanto proposto e quindi di ascoltare una tracklist composta interamente da song in qualche modo efficaci e pensate per raggiungere immediatamente l’obiettivo.

Se vi sono piaciuti i due dischi precedenti, probabilmente altrettanto farà “Karma Machine”, ma restiamo dell’idea che i migliori interpreti del genere siano un gradino sopra per qualità di songwriting e personalità. Validi, ma non imprescindibili.

Riccardo Manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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