Kamelot – Recensione: The Awakening

Al di là dei contenuti effettivi, i dischi dei Kamelot si sono sempre distinti per lo spettacolo grandioso che produzione impeccabile ed arrangiamenti sinfonici, combinati alla perfezione, non hanno mai mancato di offrire. Un’ossessione, quella per la forma e la presentazione, che a volte ha quasi messo in secondo piano le valutazioni più prettamente artistiche su una band, quella proveniente dalla Florida, che nell’arco della propria carriera ha saputo costruirsi – anche grazie alle ingenti vendite – una credibilità non comune. Con “The Awakening”, la formazione oggi fronteggiata dallo svedese Tommy Karevik torna dopo un silenzio di cinque anni, durante i quali il mondo è cambiato in molti e spesso disastrosi sensi: una circostanza che, per una band abituata a trattare tematiche non sempre comode né facili, rappresenta in teoria un terreno fertile per elaborare e rielaborare in forma melodica tematiche legate alla forza, alla determinazione, alla crescita personale ed alle battaglie di ogni giorno. Una prospettiva che in questo tredicesimo album vorrebbe quindi farsi più intima e personale, quasi a recuperare quella dimensione circoscritta che molti non pensavano potesse appartenere a questo supergruppo. Dopo l’originale connubio audiovisuale di growl ed insetti-in-bocca che era “The Great Pandemonium” (2010), l’odierna “The Great Divide” rientra nei binari di un sinfonico pieno e moderno, la cui riuscita – basta provare a contare il numero delle tracce audio – può dirsi pienamente realizzata solamente grazie all’impeccabile produzione di Sascha Paeth alle spalle.

Orchestrazioni, intrecci tra chitarre ed archi, voci effettate e cori a metà tra l’epico ed il melodico sono esattamente il bagaglio che ogni album dei Kamelot dovrebbe portare in dote, e certamente “The Awakening” non sembra far niente per tentare di sfuggire alla tradizione: il disco non riposa praticamente mai senza però risultare stancante, perché nonostante la presentazione piuttosto affollata le sue melodie sono in realtà abbastanza semplici e raramente in grado di solleticare l’ascoltatore oltre la soglia di una normale, ammiccante cantabilità. Quello che in questa occasione pare interessare di più agli americani, in perfetta coerenza con il titolo dell’album, sono la freschezza alla menta dell’approccio (“Eventide”) e la solidità generale dell’impianto (“Bloodmoon”), con gli anni di dischi e di carriera a cementare il tutto in un insieme che – è un complimento – si può considerare come un “Kamelot” a tutti gli effetti: allo stesso tempo mitico ed irreale, proprio come la fortezza del leggendario Re Artù. “The Awakening” offre esattamente il tipo di disco che ci saremmo aspettati dalla band americana prima di questo lungo silenzio: un prodotto professionale capace di coniugare atmosfere eteree con un impatto dirompente (“One More Flag In The Ground”), abile nel sondare l’oscurità degli abissi ma senza mai spaventare davvero, ancora in grado di vendere con consumata dialettica un mix collaudato ed a volte leggermente ripetitivo (“NightSky”) di metal moderno e suggestione dalla forte impronta cinematografica.

Qui il (non) problema sta solo nei cinque lunghi anni che sono passati dall’acclamato “The Shadow Theory” e che, nonostante alcuni vaghi richiami alla guerra, non sembrano aver toccato più di tanto le corde di questi brillanti artisti. Il risultato lampante è che l’ambizione di questo nuovo lavoro dal finale purtroppo svogliato (“My Pantheon”) è solo quella di intrattenere, assemblando un guardare ma non toccare un po’ distante ed avulso (“Midsummer’s Eve”), a volte perfino falso e plasticoso (“Willow” e la sua pigrissima rima con pillow), che si realizza soprattutto nella fluidità dei suoi possenti cori (“New Babylon”), nell’innegabile eleganza di molti passaggi e nell’opulenza delle sue magnifiche impalcature orchestrali (“Opus Of The Night”). Un bello lampante e formale che non c’azzecca fino in fondo con il grigiore quotidiano e più autentico, evidentemente, ed allo stesso tempo uno spettacolo grandioso e sempre affascinante che si può consigliare – se possibile nella sua versione dal vivo – senza paura di far brutte figure a tutti gli amanti del wow factor… ma che alle orecchie dei soliti incontentabili, quelli che l’identificazione ed il mal comune consolano più dell’aspirazione, assumerà sotto sotto le fattezze di un’occasione mancata per uscire dal proprio guscio di celluloide e mettersi un poco più a nudo.

Etichetta: Napalm Records

Anno: 2023

Tracklist: 01. Overture (Intro) 02. The Great Divide 03. Eventide 04. One More Flag in the Ground 05. Opus of the Night (Ghost Requiem) 06. Midsummer’s Eve 07. Bloodmoon 08. NightSky 09. The Looking Glass 10. New Babylon 11. Willow 12. My Pantheon (Forevermore) 13. Ephemera (Outro)
Sito Web: facebook.com/kamelotofficial

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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