Judas Priest: Live Report della data di Milano

La domenica del 10 aprile 2005 si è riaccesa la vera fiamma dei Judas Priest in terra italica, con un concerto che fa dimenticare la sbiadita prestazione dei nostri in quel del Gods Of Metal 2004 (tenutosi a Bologna), forse dovuta al poco rodaggio macinato seguito alla recente reunion.

La nuova discesa in Italia, precisamente al Mazda Palace di Milano, dei prime movers del movimento heavy metal, richiama un notevole stuolo di metaller di tutte le età,dai ragazzini ai brizzolati cinquantenni, che riempiono “piano piano” il “ventre” del palazzetto. L’attesa per la prestazione dei Gods inglesi si fa ben presto pressante ma gli opener Domine riescono a catturare per 30 minuti e rotti l’attenzione delle prime file del Mazda Palace, dimostrando quanto siano ormai amati dalle folle italiche i nostri epic power metaller toscani.

I Domine eseguono praticamente senza intervalli cinque dei loro cavalli da battaglia, iniziando da ‘Battle Gods’ per continuare con ‘Hurricane Master’, che conquistano subito l’audience. Poi è il turno dell’ottima epic track ‘Aquilonian Suite’ e qui la tensione di suonare prima dei Judas si fa forse sentire, visto un piccolo svarione del batterista e di Morby.

La seconda parte dello show dei Domine si avvale dell’esecuzione di altre due bombe sonore quali ‘Thuderstorm’ e ‘Dragonlord’, che vengono cantate in coro dalla prime fila del pubblico. Ottima prestazione per i Domine, che, emozionati, lasciano la scena alle leggende del metallo. Quando le note di ‘The Hellion’ invadono lo spazio di fronte al palco il pubblico è già in completo visibilio ed esplode letteralmente quando i cinque “maturi” metaller iniziano ad eseguire ‘Electric Eye’, comportando, come si può ben pensare, alcuni rischiati malori fra le prima fila degli astanti, schiacciati all’inverosimile e agognanti di avvicinare quanto più possibile i Judas.

Sin dal primo quartetto di canzoni presentate (per un totale di due ore di concerto), che prevedono oltre ad ‘Electric Eye’ anche ‘Metal Gods’, ‘Riding On The Wind’ e la più stagionata ‘The Ripper’, sembra evidente la ritrovata qualità dell’ugola di mister Rob Halford che sfoggia, a più riprese, true-abiti luccicanti di true-metallo. Unica variante alle vesti di lamellato sferragliante si ha per l’esecuzione della lenta ed oscura ‘A Touch Of Evil’, per la quale Rob si presenta con un lungo vestaglione in stile film horror anni ’60 interpretati da Vincent Price.

Conclusa la prima parte dello show si passa a presentare il nuovo album ‘Angel Of Retribution’ con l’esecuzione di due hit come ‘Judas Rising’ e ‘Revolution’, che permettono di sfruttare pienamente la possente struttura metallica fornita di scale, ascensori e balconi che circonda il combo inglese.

La voce di Rob esplode così come i riff possenti di Downing e Tipton… ed anche il timido e sottovalutatissimo Ian Hill riesce a ritagliarsi qualche secondo da protagonista all’inizio di ‘Revolution’, ma sempre rigorosamente dal suo “piccolo piccolo” angolino a cui come sempre è relegato.

Abbiamo poi una triade di song che presenta l’aspetto più rock e godereccio dei nostri, rappresentato da ‘Hot Rockin’, ‘Breaking The Law’ (l’attacco incrociato del pezzo, che vede i musicisti pizzicare l’altrui strumento, riesce male… ma i nostri si riprendono subito) e I’m A Rocker’, che fanno ballare divertiti un po’ tutti.

Dopo il divertimento è il momento dell’emozione pura regalata dalla versione acustica di ‘Diamonds & Rust’, che sicuramente avrà toccato il cuore di molti fra gli astanti.

E’ quindi il turno di far tuffare nuovamente i fan nell’era odierna e i Judas eseguno quindi altri due nuovi brani, ossia la rutilante e possente ‘Deal With The Devil’ e il macigno senza pietà intitolato ‘Hellrider’. La platea dimostra di gradire pienamente delle nuove ondate di energia fornite dai nostri ed in particolare, in questo frangente, applaude Scott Travis, che dietro le pelli, continua a far rabbrividire per precisione e potenza.

Per la parte conclusiva dello show c’è ancora spazio per il recupero del passato più remoto dei nostri con ‘Victim Of Changes’ (esecuzione infarcita di assoli e onestamente un po’ noiosa), ‘Green Manalishi’ e la monumentale ‘Beyond The Realms Of Death’, vero capolavoro che fa restare ancora a bocca aperta dopo tanti anni…

In tanto regale sfavillante metal c’è anche spazio per le rocky Turbo Lover’ ed ‘Hell Bent For Leather’, quest’ultima introdotta dalla tradizionale moto cavalcata dal buon Rob Halford, nonché per la versione ultra-violenta di ‘Painkiller’. Il finale lasciato ai bis è tutto dedicato al lato più godereccio e festaiolo dei Judas Priest che fanno cantare tutto il pubblico con ‘Livin After Midnight’ e ‘You´Ve Got Another Thing Comin´’.

A questo punto possiamo discutere circa la scelta di inserire nella set list alcuni brani un po’ “minori” come ‘Hot Rockin’ al posto di autentici gioielli che vengono incredibilmente ignorati (ad esempio non viene proposto nulla da ‘Defenders Of The Faith’…), ma è chiaro che con un patrimonio di ottime canzoni come quelle che hanno a disposizione i Priest è molto difficile accontentare pienamente tutti.

In conclusione non si può che applaudire un ottimo show di questi metaller, sulla cresta dell’onda, con fasi alterne, da ben 30 anni.

Photo by Luca Bernasconi

Leonardo Cammi

view all posts

Bibliotecario appassionato a tutto il metal (e molto altro) con particolare attenzione per l’epic, il classic, il power, il folk, l’hard rock, l’AOR il black sinfonico e tutto il christian metal. Formato come storico medievalista adora la saggistica storica, i classici e la letteratura fantasy. In Metallus dal 2001.

0 Comments Unisciti alla conversazione →


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Login with Facebook:
Accedi

Judas Priest: “Demolition” – Intervista a a Tim “Ripper” Owens

Judas Priest: un nome, una garanzia. La band principe dell’heavy metal, quella che il genere l’ha letteralmente inventato è tornata, e ha deciso ancora una volta di non fare prigionieri, con un disco come ‘Demolition‘ che lascia a bocca aperta. Tim ‘Ripper’ Owens sembra sapere perfettamente che il nuovo lavoro della sua band sorprenderà più di una persona.   Sicuro di sé, perfettamente calato in un ruolo che molti continuano a ritenere di proprietà esclusiva di Rob Halford, Ripper risponde con calma e serenità a tutte le domande, anche le più ‘difficili’. Giusto così, in fondo il cantante in questione non ha più niente da dimostrare a nessuno: anche la sua recente prestazione al Gods Of Metal ha messo tutti a tacere, quindi perché preoccuparsi?

Cosa è successo durante gli ultimi quattro anni, come mai abbiamo dovuto aspettare così tanto per sentire finalmente il nuovo disco dei Priest?

“Abbiamo cambiato casa discografica negli USA e questo ci ha portato via almeno un anno di tempo. A questo aggiungi un periodo di pausa dopo l’estenuante tour che abbiamo affrontato e il tempo che ci vuole per comporre e registrare l’album e avrai capito come mai sono passati quattro anni. Pensa che solo per scrivere il disco abbiamo impiegato diciotto mesi, c’è un sacco di roba nei nuovi brani e ci è voluto molto tempo per trovare le soluzioni migliori, abbiamo provato diverse linee vocali ad esempio… ma a parte tutto sono d’accordo, quattro anni sono veramente troppi”

‘Demolition’: niente male come titolo, sembra una decisa dichiarazione d’intenti!

“Il titolo è venuto fuori quasi per caso, dopo che abbiamo messo insieme tutti i brani e ci siamo messi a riascoltarli. Ci è subito parso che fosse il titolo adatto. La cosa strana è che io personalmente ho sempre pensato che il disco nuovo dovesse chiamarsi così: è stata una sensazione avuta in seguito al successo del tour che avevamo terminato, alla natura dei nuovi brani, che sono un vero concentrato di heavy metal potente e rabbioso… tutto questo genere di considerazioni. Poi ci sono titoli come ‘Metal Messiah’ che sono piuttosto espliciti, tipicamente Judas Priest insomma.”

A proposito ho visto titoli curiosi come ‘Cyberface’ che lasciano intravedere un interesse per un certo tipo di tematiche. Quanto seguono i Judas Priest lo sviluppo tecnologico e quanto lo ritengono importante per se stessi e per la loro musica?

“Dunque… personalmente ritengo che ci siano aspetti positivi e non. Prendi internet per esempio: è senz’altro un ottimo mezzo per promuovere la propria musica e per restare a contatto coi fan, ma dall’altro lato spesso è ancora fonti di voci di corridoio infondate, vedi quello che è successo ultimamente. Anche per Napster si potrebbe fare un discorso simile. In ogni caso crediamo molto in questo strumento e seguiamo personalmente il nostro website: anzi, in futuro ci piacerebbe poter fare ancora di più da questo punto di vista. Non mi chiedere cosa però, perché non seguo molto la faccenda! Una volta avevo un collegamento internet a casa, ma poi mi sono stancato di sentire le solite voci del tipo ‘Ripper ha problemi di droga’, ‘Ripper sta per entrare nei Pantera’ e avanti così. Figurati, i Pantera sono solo degli amici e capita che a volte passiamo del tempo insieme, niente più…”

Tornando al nuovo disco, da un punto di vista musicale mi sembra che ‘Demolition’ riprenda il classico stile dei Judas Priest, rinnovandolo e fornendogli un suono estremamente moderno. Insomma, suona come dovrebbe suonare un disco di heavy metal nel nuovo millennio…

“Ottimo, è esattamente il tipo di reazione che speriamo di ottenere! Vorrei che i nostri fan venissero a dirci la stessa cosa che hai detto tu in questo momento… come dicevi è sicuramente un disco dei Priest, ma che si spinge avanti verso nuovi lidi. E sicuramente non abbiamo seguito dei modelli particolari, non ci siamo messi a copiare questa o quella band. Sappiamo benissimo cosa ci succede intorno, come si muovono i gruppi, ma abbiamo preferito prendere la tecnologia ed usarla come i Priest dovrebbero usarla, senza dare retta alle voci o ai consigli che ci venivano rivolti. La tecnologia è qui a portata di mano, perché non dovremmo usarla? Siamo nel 2001, perché avremmo dovuto ripetere cose già fatte in passato? Certo, ci sono gruppi che sono sempre uguali a se stessi, come gli Ac/Dc, ma per loro è giusto così, non ti aspetti niente di diverso da Angus, ma per i Priest è diverso, non c’è un album che assomigli all’altro. Anch’io sono un fan dei Judas Priest e da quando lo sono mi aspetto sempre qualcosa di nuovo e diverso dalla band. Quando è uscito ‘Turbo’ non mi aspettavo di certo un disco del genere! E ora riascoltandolo mi rendo conto che non è certo un brutto disco, anche se al tempo non l’avevo apprezzato…”

La cosa strana è che i Priest sono da sempre considerati delle icone dell’heavy metal, perché questo suono hanno contribuito a forgiarlo. Eppure, pur essendo tra i fondatori del genere, si tratta anche di uno dei pochissimi gruppi che ad ogni disco rischia qualcosa, guarda avanti e non si ferma a ripetersi. E’ strano, dicevo, perché l’heavy metal ultimamente tende ad essere piuttosto conservatore da questo punto di vista e molte band si sono adattate…

“Già, capisco cosa vuoi dire e non è facile per un gruppo muoversi in questa situazione, perché devi comunque andare avanti, ma devi stare attento a quello che fai. Voglio dire, ci sono gruppi che hanno deciso di continuare a fare lo stesso disco, ma così vuol dire suicidarsi, devi sempre cercare di andare avanti. Devi sempre essere te stesso, essere sincero con te stesso. Prendi le classiche borchie e i vestiti in pelle, da sempre fanno parte dell’immaginario legato ai Priest, non si può mica pensare di eliminarle… ma questo non vuol dire che dobbiamo andare in giro carichi di metallo ad ogni minuto! Però capisco che è quello che la gente vuole quando sali sul palco…”

Tornando al disco, uno degli elementi che lo rende così moderno è la produzione, molto coraggiosa e tagliente, che sperimenta molto con sonorità ed effetti. Se non sbaglio se n’è occupato Tipton, mi chiedevo quindi se si tratta di un’idea che avevate in testa fin dall’inizio o se è venuta fuori man mano che componevate i brani.

“Vedi, Glenn ha sempre amato sperimentare con i suoi suoni di chitarra, specie dal punto di vista solistico. Una volta trovata la melodia giusta si mette sempre a sperimentare coi suoni per trovare la resa migliore. Glenn ogni volta vuole tirare fuori il meglio, registrare il miglior disco possibile ed è convinto che sperimentare con le sonorità sia un ottimo modo per differenziare i brani ed esprimersi al 100%. E’ per questo che, come ti dicevo, in questo disco c’è talmente tanta roba da far paura! Ogni tanto succedeva che io mi mettessi a cantare una delle mie parti e lui mi interrompesse per dirmi ‘Hey, prova a cantare anche in questo modo! Proviamo a mettere questo particolare effetto, vediamo cosa esce’. E’ una cosa che succede molto spontaneamente, senza essere pianificata, sono ideee che gli vengono in mente così, mentre registriamo. E’ incredibile, veramente. Questo fa si che si debba lavorare moltissimo, ovviamente, ma credo che ne valga la pena.”

Un’altra cosa che mi ha colpito molto è la tua prestazione vocale: questa volta mi sembra che sia ancora più personale rispetto a ‘Jugulator’, pare che tu abbia dato il meglio?

“Davvero ti ha sorpreso? Wow! Beh, credo che rispetto a ‘Jugulator’ stavolta ci sia molta più melodia, in quel disco puntavamo molto di più sull’impatto e sulle sonorità grezze e brutali… anche se in quel disco c’è una delle canzoni dei Priest che preferisco, sto parlando di Blood Stained, che oltre tutto ha un cantato estremamente vario. Ma ‘Jugulator’ era stato composto prima che arrivassi, mentre questo disco è scritto appositamente per la mia voce, c’è più melodia e varietà e posso esprimermi su timbri molto diversi.”

Citavi ‘Jugulator’, quando quel disco è uscito vi sono piovuti addosso fiumi di critiche, perché secondo molti non suonava come un disco dei Priest. Ripensandoci adesso, come risponderesti a queste affermazioni?

“Risponderei come ho sempre risposto, non ho minimamente cambiato idea sul valore di quel disco. ‘Painkiller’ era un album di heavy diretto, ‘Jugulator’ è la continuazione del discorso, segna un progresso notevole per i Priest. Era semplicemente un disco di metal brutale e ‘in your face’. Anzi, ti dirò che riascoltandolo adesso mi sembra che non sia così brutale come lo avevamo concepito! Mancano un po’ di brani veloci, se togli ‘Bullet Train’… a parte questo però non si può certo dire che non sia un disco metal, un disco da Judas Priest.”

Non posso che essere d’accordo. Cambiando discorso, quali sono gli ascolti preferiti di Ripper attualmente?

“Beh, devo dire che non ascolto molta musica… però mi piacciono moltissimo i Godsmack! Hanno potenza, melodia, intensità, sono un ottimo gruppo. Davvero suonano a Milano domani? E’ un peccato, me li sarei visti più che volentieri, caspita! Dal vivo sono delle furie e poi non hanno niente da spartire con tutti sti gruppi che giocano a fare rap… Quando li ho visti all’Ozzfest coi Pantera ed Ozzy è stato uno show killer, un trittico che ti stende. A parte questo ascolto più che altro radio sportive e poi da quando mi sono sposato devo comprare album per mia moglie, ahahah!”

Dicevi che i Godsmack stanno ottenendo un buon successo e un discreto airplaying in America, è una cosa piuttosto sorprendente se si considera che la musica heavy non se la passa troppo bene in quelle parti. Credi che la situazione stia migliorando?

“Beh, ci sono delle stazioni radio dedicate al metal e pian piano i gruppi buoni riescono ad avere l’esposizione che meritano. Poi vabbè, per un gruppo buono ce ne sono altri 10 che fanno schifo, ma non mi chiedere i nomi perché non voglio scatenare polemiche! Il fatto stesso che Pantera ed Anthrax continuino ad avere un buon successo è segno che le cose non stanno andando male… ci piacerebbe riuscire a suonare con questi due gruppi prima o poi, tra l’altro. In ogni caso le cose non saranno magari com’erano qualche tempo fa, ma non ci si può lamentare. Speriamo che l’anno prossimo la situazione migliori ulteriormente, giusto in tempo per il nostro tour, ahahah!”

So che recentemente hai avuto la possibilità di incontrare Rob Halford…

“Sì, è stato un incontro molto piacevole. Abbiamo parlato un po’, si è detto felice che i Priest abbiano scelto me come suo sostituto perché crede che si siano messi in buone mani e questo ovviamente mi ha fatto piacere. Il fatto poi che si sia trattato di un incontro dietro le scene, distante dai pettegolezzi e dalle voci lo ha reso ancora più interessante… sì, sono contento di aver avuto la possibilità di incontrarlo e di parlargli.”

0 Comments Unisciti alla conversazione →


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Login with Facebook:
Accedi