Per la loro tredicesima edizione, gli organizzatori di Isola Rock hanno deciso un paio di cambiamenti nell’organizzazione. Si cambia il periodo dell’anno in cui si svolge il festival, anticipandolo da metà agosto a maggio, e si cambia la location. Ora, Villa Boschi (in cui si sono svolte le ultime edizioni) è un luogo meraviglioso che dà la possibilità addirittura di scorrazzare a piedi nudi nell’erba per un po’, ma siccome la pioggia ha fatto da ospite indesiderato ricorrente, si è optato per una collocazione al chiuso. Per fortuna, sempre a Isola della Scala, esiste il Palariso, uno spazio ampio e al coperto, dove i due palchi di cui si compone tradizionalmente il festival trovano la giusta collocazione. E meno male, perchè se il sabato si presenta con una bellissime giornata di sole, il venerdi porta invece pioggia e freddo; nulla di compromesso quindi, e una rassegna di band dagli stili più diversi, un’altra caratteristica tipica di Isola Rock, che si esibiscono senza grossi problemi. Non riusciamo purtroppo ad arrivare in tempo per ascoltare i veronesi Monnalisa il venerdi, nè i primi due gruppi del sabato, New Way Out e Moonolith, ma abbiamo modo di assaporare in pieno il live dei Kalidia che, guidati dalla voce e dalla presenza scenica carismatica di Nicoletta Rosellini, hanno modo di farsi apprezzare fin da subito grazie a un power metal melodico che tende peròò a sfuggire dai rigidi canoni del genere per costruirsi uno stile autonomo.
Luci fioche in cui domina il rosso e atmosfere decisamente più crepuscolari accompagnano il live dei Crimson Dawn, che hanno sempre dimostrato di essere una band ricca di capacità e di idee da raccontare, e che non fanno che confermare questa impressione. Attendiamo con impazienza l’uscita del loro nuovo lavoro, al quale la band sta lavorando, con la sicurezza, data anche da questo live, che si tratterà di un altro grande risultato.
Si cambia nuovamente atmosera con l’arrivo sul palco di J.C.Cinel e della sua band. Questa volta si devia decisamente sulle strade del rock classico con forti sfumature blues, fatto di armonica a bocca e chitarre convincenti, che nonostante propongano sonorità più morbide rispetto a quanto ascoltato finora (e anche rispetto a quello che ci sarà in seguito), riscuotono un successo meritato. J.C. Cinel è un esperto conoscitore del mondo sopra il palco e non fa niente per nasconderlo, intrattenendo il pubblico con grande disinvoltura.
La prima giornata si chiude con un’esibizione di un gruppo storico, idolatrato da quella parte dei metallari italiani che apprezzano le band di cassa nostra, che ancora una volta realizza uno show impeccabile a tutti gli effetti. La Strana Officina ricalca molto da vicino quello che abbiamo ascoltato poche settimane fa in occasione dell’Acciaio Italiano, con un’attenzione particolare verso quei brani ripescati dal passato della band e fino ad ora lasciati in secondo piano, come “Bimbo” e “Non finirà mai”, senza trascurare ovviamente i grandi classici.
La seconda giornata di Isola Rock ha invece un’impronta, almeno per quanto riguarda i gruppi di testa, maggiormente rivolta verso il power metal. Prima di arrivarci, però, c’è tempo per gustare l’esibizione degli Orphan Skin Diseases, una formazione di alternative rock a due cantanti sotto contratto con Logic Il Logic Records. Non essendo composta da musicisti alle prime armi, la formazione sa essere convincente e sa proporre brani non sempre facili da inquadrare in un genere unico, da esplorare a fondo ma interessanti.
Una sorpresa positiva viene dai bresciani Venus Mountains, che avevamo visto in azione alcuni anni fa e che ritroviamo cresciuti bene. Validi i pezzi proposti, ccon il loro hard rock a tinte glam che insiste molto sull’autoironia e molto valida la presenza scenica della band, che ha saputo caratterizzarsi in modo proprio e sa portare a termine uno show breve ma efficace, divertente e senza mai un momento morto.
Anche in questa seconda giornata c’è un momento dedicato a sonorità più tranquille; per l’occasione sono stati scelti gli Shadygrove, il nuovo progetto di Lisy Stefanoni, che avevamo già visto alcuni anni fa sempre sul palco di Isola Rock con gli Evenoire, improntato con chiarezza verso la musica folk, con tanto di flauto traverso, violino e percussioni etniche. La loro esibizione è un momento di tregua, una pausa dolce che invoglia alla riflessione, che suscita sensazioni positive e riposanti. Obiettivo centrato in pieno anche per loro, per una delle esibizioni più particolari ma al tempo stesso più significative del festival.
Ulteriore cambio di atmosfera quando salgono sul palco i Deathless Legacy, una band che sta raccogliendo, giustamente, consensi unanimi grazie alla loro spiccata capacità di mescolare teatralità in stile Alice Cooper, una serie di brani intensi appoggiati da un modo di cantare esplosivo e una tecnica strumentale di prim’ordine. Anche in questo caso la band non fa che confermare le sue buone qualità, portando a casa uno show che è un piacere non solo per le orecchie ma anche per gli occhi.
Si sapeva da tempo che quello dei Teodasia sarebbe stato uno dei valori aggiunti di questa edizione di Isola Rock. La particolarità è che quello di oggi è l’ultimo show con Giacomo Voli alla voce, che chiude in bellezza la suza permanenza in pianta stabile nella band (tornerà forse per qualche esibizione saltuaria) per concentrarsi sull’attività con i Rhapsody Of Fire. Al suo posto, e in questa serata in condivisione del palco, arriva Chiara Tricarico, un’altra voce più che meritevole di occupare questo posto. La presenza dei due cantanti sul palco e il passaggio del testimone dietro il microfono rendono questa esibizione un altro dei momenti più importanti di questa edizione.
Si chiude alla grande con una delle pietre miliari del panorama power metal italiano. I Labyrinth stanno portando in scena uno show che riprende in grann parte i brani di quel “Return To Heaven Denied” che, a vent’anni dalla sua usita, si mantiene tuttora uno dei momenti migliori non solo della discografia della band, ma proprio di tutto il filone nato in quegli anni. Lo dimostra il fatto che brani come “Moonlight”, “Lady Lost In Time” o “The Night Of Dreams”, qui riproposti e caratterizzati in modo impeccabile dalla voce di Roberto Tiranti e dalla chitarra fulminea di Olaf Thorsen, mantengono inalterata la loro bellezza. Anche la risposta da parte del pubblico rimane costante nel corso del live, e chiude in positivo un festival che sa unire interessi diversi, stili diversi e forme d’arte diverse (oltre ai live ci sono sempre mostre fotografiche a carattere musicale o di street photography, e un secondo palco, più piccolo, con esibizioni di danza e altro), il tutto, lo ricordiamo ancora perchè ne vale la pena, a ingresso rigorosamente gratuito e con l’obiettivo di devolvere il ricavato in beneficenza. Davvero niente male.