InFest 2022: Live Report del Day 1 con The Ghost Inside, While She Sleeps e altri

Il 21/06/2022 si è svolta la prima giornata dell’InFest, festival dallo stampo
punk-harcore che ha chiamato da ogni parte d’Italia (e non solo) i fan appartenenti alla scena Alt-Metal.
Sul palco si sono alternate band di grande spessore della scena core internazionale, lasciando il compito di chiudere la serata ad un Headliner di grande rilievo, i The Ghost Inside.

La giornata è perfetta, il sole, leggermente coperto da nuvole sparse, illumina il palco senza però infastidire troppo i presenti mentre un leggero venticello altalenante delizia gli spettatori che, come il sottoscritto, avevano previsto di dover passare una giornata all’insegna del caldo soffocante e dell’afa. Il pubblico è carico, il range d’età varia dai 20 ai 40 anni circa (troveremo nel mosh anche qualche “vecchia” guardia) e noto inoltre con piacere che sono presenti anche stranieri, accorsi qui per quello che sarà l’evento core per eccellenza di quest’estate (per quanto riguarda la nostra penisola).

Purtroppo si pensava che gli show sarebbero dovuti iniziare alle 18.00, il nostro arrivo al “pelo” ci ha dunque fatto perdere quasi completamente lo show dei connazionali “Sharks in Your Mouth” sullo stage secondario.

CASKETS

Pronti a battezzare il main stage troviamo i Caskets, band alternative metal proveniente dal Regno Unito, che presenterà il suo primo full-length, “Lost Souls” (2021).
I brani che si susseguono hanno tutti un nucleo in comune, la malinconia, stato d’animo che non si nasconde tra i vari testi e che è ben rappresentato sul palco dal leader Matt Flood.
Quella degli inglesi è una performance di classe, diretta e poetica, non sarà al pari delle band che verranno in quanto a “botta”, però è un piacevole antipasto.

IF I DIE TODAY 

Si ritorna sul palco B con la seconda e ultima band italiana della serata.
La proposta è quella di un HC-Sludge con tematiche affini al post metal e tanta, tanta rabbia da far uscire.
Velocità, “tupa tupa” e urla caratterizzano un live movimentato e pienamente sentito da parte del gruppo tricolore, che delizia i presenti con una performance di gran livello. Durante la seconda metà dello spettacolo, si iniziano a vedere i primi “moshers” e verso fine show parte il primo (piccolo) circle pit, che gira attorno al leader sceso dal palco per sentirsi un tutt’uno con il pubblico. La performance si chiude con quest’ultimo che canta sulle note  dell’ultimo brano mentre è tenuto in aria dai presenti.
Rivelazione della serata

MONUMENTS

I nomi iniziano a diventare “grandi”, e sul main stage cambia completamente il tiro musicale.
I Monuments salgono sul palco con la loro proposta progessive metal e Djent, capitanati da Andy Cizek che, come chi lo ha preceduto, tirerà fuori il meglio di sè. I mostri della tecnica moderna propongono brani provenienti dall’ultimo lavoro, “In Statis” e da album passati, rendendo totalmente piacevole la scelta della scaletta, il pubblio si vede, apprezza. È proprio qui infatti che esplode il primo mosh pit di grande dimensione, ove giovani e meno giovani si scontrano tra spallate e circle pit, prendendo fiato solo durante poche battute. I suoni sono più che buoni e gli inglesi non sbagliano un colpo. Considerando che ora la band è formata “solo” da quattro elementi, è sbalorditivo come la resa sonora possa essere di cosi
elevato impatto, performance da cinque stelle.

SILVERSTEIN

Dopo aver passato la soglia dei venti anni di matrimonio, i Silverstein tornano in Italia, portando il loro post-hc fortemente influenzato da elementi Emo.
Sarò sincero, non mi aspettavo una botta del genere. La band canadese ha portato il meglio di sè nella nostra penisola, regalando uno show strabiliante sia per quanto riguarda il coinvolgimento del pubblico, sia per quanto riguarda l’esecuzione dei brani.
I suoni, calibrati alla perfezione, sono stati la punta di diamante che ha coronato un live decisamente sorprendente. I brani scelti sono stati presi tra i vari lavori che la band ha sfornatnato fino ad oggi, immancabile tra questi “My Heroine“, che ha dato il via ad un coro di massa interminabile.

BEARTOOTH

Ed eccoci giunti ai “Big 3” di quella che per ora sembra essere una serata perfetta. I Beartooth salgono sul palco proponendo da subito il loro ultimo lavoro, “Below“. Lo stampo in your face della band americana, alternata da parti groovy, è una botta di vita per tutti i presenti. Il frontman Caleb Shomo fa quello che gli riesce meglio, trasportare il pubblico in questo viaggio musicale, senza dare troppo spazio a momenti di rigenerazione o di tregua. Tutti sono entusiasti e tutti accolgono a gran coro ogni singolo brano. Quel mosh che già sembrava grande inizia sempre di più ad allargarsi acogliendo fra le sue braccia nuovi cadetti, che entrano in gioco, pronti a dare il meglio di loro in questo rituale violento.
Lo show si conclude con “The Last Riff“, che vede il frontman aggiungersi al reparto “corde” per poi fiondarsi sopra il pubblico, in un crowd surfing che porta alla conclusione del concerto.

WHILE SHE SLEEPS

Penultima band della serata e ultima band prima degli Headliner.
Parliamo dei While She Sleeps, ormai uno dei gruppi di punta della scena metalcore.
Un boato collettivo attira la loro entrata in scena, facendo tremare le transenne dai fan più affezionati alla band originaria di Shelffield.
Gli WSS propongo i loro brani migliori incalzando ogni singola nota a gran ritmo. Le poche pause indicano chiaro che il gruppo vuole fare del loro meglio senza sprecare tempo, ed il pubblico acconsente senza mimare minimamente una resa. Sono tutti carichi e tutti sembrano sapere a memoria ogni singolo testo, accompagnando il leader Lawrence Taylor nel suo scream tirato cosi come nelle sue linee vocali clean.
Un perfetto gioco di luci ha accompgnato lo show per tutta la sua durata, scandendo il tempo dei colpi all’interno di un mosh pit che non sembra ancora essere stanco. Non si può pensare che questo show sia “semplicemente” un’apertura, per gran parte del pubblico infatti era proprio il gruppo più atteso della serata.

THE GHOST INSIDE

Eccoci finalmente giunti al piatto forte della serata, i The Ghost Inside, con la loro prima data nella penisola italiana, dopo quell’orribile incidente che fermò fino al 2019 la loro attività. Ci vuole coraggio e grinta per affrontare determinate difficoltà, e Andrew Tkaczyk, batterista della band, ne è
un esempio lampante con la sua voglia di continuare a suonare con una protesi dopo l’amputazione della gamba destra (successiva all incidente nel 2015). I The Ghost Inside entrano in scena, ed è subito delirio.
Stile, musicalità ed ancora stile, configurano un live senza trucco e senza inganno. La scaletta scelta ospita alcuni dei loro migliori brani, da “Avalanche” a “Dear Youth”, passando ovviamente, per “Engine 45″, probabilmente uno dei brani più apprezzati dei The Ghost Inside.
Il pubblico non molla, dopo dopo quasi sei ore di salti, cori e mosh sembra come se fosse ancora il primo concerto della serata; fa inoltre molto piacere vedere tra i moshers Andy Cizek, che poco prima era sullo stesso palco a cantare per i Monuments. Tutto è perfetto, tranne forse un piccolo evento quasi comico che “obbliga” Jonathan Vigil ad interrompere lo show
(a forza di saltarci sopra, uno dei pezzi d’alluminio della canalina che proteggeva i cavi che collegavano mixer e palco si è staccato dal suo incastro).
La band è super carica e non sembra voler lasciare spazio ad alcun respiro di troppo; unico neo negativo, la durata dello show, che si sperava potesse essere superiore a quella che effettivamente è andata in scena.
I The Ghost Inside chiudono il loro show con il primo singolo tratto dal loro ultimo lavoro, “Aftermath”, il brano che li ha fatti rinascere; non poteva esserci conclusione migliore.

Ringraziamenti, pacche sulle spalle tra i moshers ed ultime chiacchere su chi ha fatto il concerto migliore della giornata accompagnano la chiusura di quello che è stato a mio parere personale, un evento da lode. Ottima organizzazione, ottima line up, suoni molto gradevoli e tanto divertimento. Sarà che c’è stata la pandemia e tutti volevano tornare a frequentare quanti più concerti possibile, ma durante l’InFest ho visto più che dei semplici gruppi suonare, si è sentita l’adrenalina del pubblico, l’amore verso i propri beniamini, l’amicizia tra sconosciuti e soprattutto, ho visto la voglia da parte di una comunità di ritrovarsi per condividere assieme delle emozioni che da tempo erano sparite.

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