Hour Of Penance: “Blight And Conquer” – Intervista a Paolo Pieri

Ho colto la palla al balzo e, come ho letto la notizia degli Hour Of Penance dal vivo a mezz’ora da casa, ho pensato subito a organizzare un’intervista con loro. Poi, con il lavoro e mille altri impegni, non ho avuto il tempo di scrivere le domande in tempo, così in modo molto sincero ho detto a Paolo che non avevo nulla di pronto e che mi sarei inventato tutto al momento. È nata così un’intervista molto spontanea e sincera, che non riguarda solamente la band ma un po’ tutto il mondo metal, parlando con una figura che naviga in queste acque da ormai venti anni.

Innanzitutto grazie per la disponibilità! Io vi ho visti già tre volte dal vivo e siete delle macchine da guerra; ti chiedo quindi come sono andati questi ultimi due anni?

Male! Due anni senza concerti e poi tour e date posticipate o saltate pure questo anno, una band Russa doveva fare il tour, ma con il vaccino Sputnik che non era riconosciuto in Europa non si poteva esibire. Sembrerebbe che fino a settembre si suoni, speriamo che da settembre in poi la situazione non peggiori, perché altrimenti è un disastro, in quanto il grosso di quello che prendiamo noi musicisti sono i concerti e le esibizioni dal vivo.

Immagino che sia davvero preoccupante la situazione, e come avete occupato questo tempo?

Innanzitutto abbiamo lavorato al disco nuovo, perché avevamo tempo libero. Però far uscire ora un album nuovo senza poterlo promuovere era stupido, quindi abbiamo aspettato. Comunque abbiamo otto pezzi nuovi su cui stiamo lavorando e, se la situazione si mantiene tale, entreremo in studio e per l’anno prossimo faremo uscire tutto.

Ti chiedo, visto che sei nell’ambiente da un po’ e negli Hour Of Penance dal 2010, come ti sembra oggi la situazione della musica estrema in Italia?

Rispetto a venti anni fa è migliorata molto, in quanto si trovano più batteristi e chitarristi che studiano queste tecniche estreme e si trovano con più facilità le competenze adeguate. Considera che fino a qualche anno fa, se tu avevi una band che voleva suonare death metal, c’erano i soliti 2 o 3 batteristi che giravano con tutti, e quindi da questo punto di vista molto meglio. Per il resto noto molta più contaminazione di generi diversi. Per dirti, ieri (giovedì 2 giugno nda) ho conosciuto dei ragazzi che ascoltano sia la trap che il metal estremo, tanto che sta diventando quasi mainstream. E questa cosa mi ha molto colpito, perché finalmente c’è un pochino di apertura mentale.

Questo cambiamento potrebbe giovare alla scena underground, visto che siete una delle poche band fortunate ad essere usciti dai confini italiani?

Noi siamo usciti in un periodo in cui andava di moda il brutal ed il death metal, quindi questo ci ha aiutato nella scena internazionale. Perché tu magari puoi essere anche bravissimo, con una band incredibile, però se non va di moda il genere che proponi, l’etichetta non ti considera, in quanto deve farsi i conti in tasca.

Per quel che riguarda la scena è più complicato, in quanto fare il musicista in Italia è molto difficile da inquadrare anche come lavoro: apri una partita IVA, eccetera; diventa tutto più complesso, soprattutto se lo vuoi portare a un livello professionistico. Se almeno ci fossero degli incentivi statali come all’estero magari… ecco, aiuterebbe parecchio.

Le case discografiche sono ancora diffidenti con le band italiane, in quanto non esiste ancora una scena unita tricolore. A parte il Power che è stato il nostro marchio di fabbrica in passato, non c’è una coesione come potrebbe essere lo swedish death o il thrash teutonico. Quindi, alla fine ci sono i singoli gruppi, che individualmente riescono a trovare la strada. In passato tantissime band hanno sfornato demo validissimi, ma la controparte tedesca, che qualitativamente poteva valere anche la metà, aveva già un contratto con Century Media o Nuclear Blast. Ma rispetto al passato siamo molto migliorati, quindi per il futuro sono fiducioso.

Agganciandomi a questo discorso, ricordando la morte di Travor Strnad con tutto il suo lavoro mastodontico alla ricerca e sponsorizzazione di band underground, secondo te in Italia pesa l’assenza di figure che spingano band giovani a lanciarsi su palchi maggiori?

Noi siamo molto individualisti e molto critici con gli altri, che è un problema culturale italiano al di fuori del mondo metal. Quindi aggiungi la disgregazione tra i vari gruppi e l’assenza di figure come la sua o come Nergal in Polonia, e tutto diventa più complicato. Può sembrare irrisorio, però prova a pensare a uno che spende il suo tempo sui social a commentare e insultare altri solo perché magari ci ha litigato una volta: il risultato è dannoso e deleterio per tutti. Così rimaniamo in quattro gatti e ci lamentiamo che siamo quattro gatti.

E i prossimi progetti degli Hour Of Penance dopo questo mini tour? Rimarrete con la stessa casa discografica?

Sì, ti confermo che anche per il prossimo disco collaboreremo con Agonia Records, poi considera che queste date erano già state programmate nel 2020 quindi, oltre a queste tre serate, abbiamo il Lions Metal Fest vicino a Lione, e l’HellFest. Poi non abbiamo organizzato altro, in quanto sia i promoter che le case discografiche navigano un po’ a vista cercando di capire sia gli sviluppi della guerra che di probabili ricadute del virus.

Dopo venti anni di carriera come si sta evolvendo la band dal punto di vista sonoro se mai ci fosse un’evoluzione?

In generale lo stile è quello, siamo abbastanza rodati nel songwriting con Giulio (chitarrista solista nda) che si occupa della musica e io dei testi incastrando il tutto. Ci siamo sempre trovati bene e continueremo a lavorare così. Per quel che riguarda il prossimo disco, ci saranno sonorità più vicine a “Vile Conception”, quindi molto più brutal, lasciando da parte un po’ di linee melodiche. È ovvio che io come musicista a casa suono o imparo qualcosa di diverso, ma se questo stile funziona, perché cambiarlo? In più, arrivati a questo punto della carriera, cosa puoi fare di diverso? I margini di lavoro alla fine sono abbastanza limitati. In più, c’è una novità per quel che riguarda la batteria: abbiamo salutato Davide Billia, che era subentrato al posto di James Payne, e ora siamo con Giacomo Torti dei Bloodtruth.

Tornando a parlare di concerti, come siete stati accolti all’estero?

È una domanda difficile, perché già all’interno dell’Europa stessa abbiamo avuto risultati diametralmente opposti, ma ti posso dire che gli Stati Uniti sono quelli che più apprezzano questo stile. Tornando qui troviamo sempre terreno fertile in Est Europa e in Inghilterra. In Germania invece è un po’ strano, perché ci considerano forse troppo moderni come suoni nel panorama death metal e preferiscono qualcosa con un sound più cavernoso e old school. Altrimenti va moltissimo la moda dello slam, che personalmente non apprezzo.

Sì ormai è diventata la nuova moda del metal estremo come fino a qualche mese fa col post black metal

Sì, come le case discografiche notano che qualcosa sta andando bene, si indirizzano tutte su quello. Quindi mettono sotto contratto le prime band che non fanno cagare, cercando di avere un ritorno economico nell’immediato, che come ragionamento non è poi così sbagliato. Quello che peggiora invece è la qualità musicale, finendo per ragionare come il pop. Britnety Spears funziona? I Backstreet Boys funzionano? Facciamo cinque anni con figure simili e vendiamo finché possiamo. Purtroppo, anche nel mondo metal si è contaminata questa mentalità: prima si produceva un gruppo perché era bello da ascoltare e quello creava sia il trend che il genere. Mi ricordo la Candelight Record che agli inizi aveva cinque gruppi che non c’entravano niente l’uno con l’altro, ma erano tutti fighi! Ora invece cercano la band, i gruppi satellite pagandoli poco per produrre tutto risparmiandoci anche. Poi, tra vendita di merch, dischi e pubblicità varie, riesci senza fatica a ricavarci minimo quattro volte il denaro investito. Adesso hanno capito che questa metodologia funziona per fare soldi facili e quindi non investono più lo stesso tempo per trovare quella band che ti fa creare poi la perla rara della casa discografica.

E voi con la Agonia Records che tipo di rapporto c’è? Vi lasciano fare quello che volete o siete vincolati?

Le tempistiche sono cose contrattuali ed è l’unica cosa a cui siamo vincolati, però a livello musicale a meno di produrre un disco di canzoni natalizie non fanno problemi. Che si voglia fare un disco più ignorante o sperimentale, sempre rimanendo all’interno dei canoni del nostro genere noi possiamo fare quello che ci viene in mente.

Quindi è una diceria quando sento che le band sono obbligate a fare ciò che viene imposto dalla casa discografica?

Dipende dal livello che ha la tua band. Ora non si parla più solo di musica, ma anche di prodotto. Prendi gli Arch Enemy: ormai sono un prodotto e se una mattina si presentano agli uffici della Century Media con in testa un’idea nuova che cozza con il loro stile; è ovvio che non glielo approveranno mai. L’underground fortunatamente è un pochettino più libero da questi discorsi e meccanismi, mentre a quei livelli (riferendosi ancora agli Arch Enemy nda) devono stare attenti anche a quello che è il look, l’immagine, il tipo di foto e le dichiarazioni da rilasciare. Noi siamo nella terra di mezzo, in cui possiamo fare quello che vogliamo fare senza problemi.

Con il nuovo album avete già pensato a nomi di album o canzoni o siete ancora tutti in una fase di elaborazione?

Non abbiamo ancora pensato a nulla da quel punto di vista, siamo sotto a scrivere musica e a stare attenti alle metriche ecc. Quando poi sarà momento di scrivere i testi, poi, penseremo anche a tutto il resto.

Che consiglio daresti alle nuove band che vogliono cominciare a suonare metal estremo?

Prima di tutto di trovare le persone giuste con cui suonare, che è la cosa fondamentale, altrimenti non trovi la costanza nel lavoro. Poi al mondo d’oggi è un po’ fortuna, perché o decidi di fare quello che ti piace, oppure segui il trend del momento per sfondare ed entrare nel mondo della discografia. Sperando successivamente di crescere e trovare la tua indipendenza come gruppo e poter suonare quello che ti piace, anche se siamo molto nelle mani dell’internet. Ora, anche il metal è stato colpito dai servizi digitali, quando prima era solo una cosa marginale. È diventata una cosa di principio: suono quello che voglio, anche se non piaccio a nessuno, oppure mi piego alla domanda del mercato, trovando il compromesso con l’intento di fare carriera. È brutto da dire, ma a oggi riuscire a sfondare senza considerare il trend del momento è molto difficile. E il metal era nato contro questa concezione della musica popolare, che è sostanzialmente marketing, magari ora fai più ascolti e hai più persone che riescono ad ascoltare il tuo disco, ma snatura quella che era la musica metal.

Ultimamente quindi cosa stai ascoltando?

Mi è piaciuto molto il concept di Matt Heafy con Ishan: Ibaraki. Strumentalmente non banale e molto particolare, soprattutto se consideri che il tutto è nato dalla mente di una persona che è il frontman di una band metal commerciale. Ed ecco che arriviamo al discorso di prima, in cui la tua popolarità ti ha permesso dopo anni di poter fare quello che tu avresti voluto fare fin dal principio. Un’altra band che ti consiglio vivamente sono i Deathspell Omega, che sono l’esempio opposto: hanno voluto fare un genere come volevano loro, roba quasi inascoltabile e alla fine hanno un seguito enorme, sempre all’interno di una nicchia ovviamente. E per me sono tra i migliori compositori della scena metal di oggi con uno stile unico.

Come hai iniziato ad ascoltare metal?

Ti dico che per me all’inizio le cose che più si avvicinavano al metal erano Skunk Anensie e Red Hot Chili Peppers, anche perché nel 1996 non c’erano molte vie in Italia per poter ascoltare musica estrema. Vedevi il video su MTV o su Sgrang su TeleMontecarlo verso mezzanotte, che era l’unica trasmissione in Italia, che per un’ora trasmetteva roba come Sepultura o Napalm Death. Poi mi sono appoggiato alle riviste cartacee ed eccoci qui, la mia carriera musicale nel mondo del metal è iniziata così. Poi all’epoca c’erano meno uscite discografiche ma erano più significative, adesso si fa veramente fatica a stare dietro a tutto.

Ti ringrazio per questa mezz’oretta di chiacchierata! Vuoi fare un saluto finale?

Ringrazio te per l’opportunità e tutti i lettori di Metallus che leggeranno questa intervista e tutti quelli che ascoltano gli Hour Of Penance!

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