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Helms Deep – Recensione: Treacherous Ways

Formati quasi cinquanta anni fa dai fratelli inglesi Mark e John Gallagher, i Raven hanno pubblicato quindici album in trent’anni di onorata carriera e si sono storicamente distinti per il loro contributo innovativo al movimento della NWOBHM: l’introduzione di ritmiche reggae ed il richiamo ad elementi mutuati dal mondo sportivo (che valse alla loro musica l’originale appellativo di athletic metal) sono solamente alcuni dei motivi per cui i Raven sono ancora ricordati, benchè il loro impatto sul mercato americano non abbia sortito gli effetti che quel tour con Metallica ed Anthrax avrebbe lasciato presagire. Ma perché mai scrivere dei Raven, quando “Treacherous Ways” è il disco di debutto degli Helms Deep? Presto spiegato: creati dal chitarrista e cantante Alex Sciortino, gli Helms Deep possono avvalersi – per i rimanenti due terzi della band – di due membri dei Raven, John Gallagher al basso e Mike Heller alla batteria. Se a questo sommiamo l’amore di Sciortino per l’heavy metal ed il power a stelle e strisce nelle loro manifestazioni più classiche, ecco che le nuvole su questo disco di debutto cominciano a diradarsi: il richiamo a “high octave screams, ripping guitar riffs, devastating drum fills and melodic and enigmatic bass lines” appare del tutto coerente, mentre forse meno prevedibile è l’auto-accostamento stilistico a formazioni per alcuni meno note come gli americani Liege Lord (1982), Nasty Savage (1983) ed Attacker (1984). Prodotto da Lasse Lammert (anch’egli peraltro già impegnato al fianco dei Raven), “Treacherous Ways” si presenta con un mix di schitarrate e colpi di mitragliatrice che introduce, con quel sapore nostalgicamente stantio, a quel tipo di pesantezza che per Sciortino, Gallagher e Heller continua a rappresentare un porto sicuro tra le nebbie di tanto modernismo.

Helms Deep - Treacherous Ways (2023)

Ciò che piace subito di questa nuova lettura è innanzitutto la pulizia dei suoni, che permette di cogliere nel dettaglio lo sforzo compiuto per dare a questo revival una buona dose di credibilità: l’apertura di “Fire Rain” è veloce e pesante, come del resto non potrebbe non essere, ma tutta l’energia appare anche molto bene organizzata, con un soddisfacente equilibrio tra la tecnica assicurata dalla sezione ritmica (ancora più sugli scudi in “The Keep”) e le eccellenti evoluzioni chitarristiche a cura dello stesso Sciortino. Il brano successivo è una title-track dalle forti contaminazioni classiche (dal thrash della Bay Area ai Black Sabbath) ed efficacissimo per rievocare – anche attraverso i suoi acuti pungenti – la scomodità di quei jeans strettissimi, l’acquisto dei dischi in base alla bellezza della copertina e lo spazio per le toppe che non bastava mai. Se da un lato l’elemento rievocativo è qui preminente, va detto che questo album è anche suonato con una compattezza ed una coesione che rappresentano valori assoluti e completamente slegati dal periodo storico e dalle scelte stilistiche che le accompagnano: “Fight Or Flight” è semplice ed allo stesso tempo dirompente come alcune cose dei Judas Priest (“Annihilation”), soprattutto grazie al notevole drumming e ad agli assoli di un Sciortino più a suo agio nelle vesti di chitarrista che quelle – comunque più che decorose – di cantante.

Un ulteriore fattore di varietà e divertimento è dato da una buona varietà di ritmi ed andature: in “Treacherous Ways” non tutto è Assault & Battery, con il mid-tempo di “Medusa’s Requiem” in grado di offrire una gradita variazione sul tema, pur senza tradire lo spirito duro e puro dell’intero disco. Ugualmente meritano una menzione i momenti dotati di una trascinante componente epica (“Breaking The Seal”) o quelli che amalgamano con successo, un po’ alla Testament, thrash cadenzato ed intermezzi atmosferici (“Sorcery”, “Serpent’s Eyes“). Per essere un disco di debutto, che comunque si è avvalso per la sua realizzazione di una componente piuttosto esperta e rodata, “Treacherous Ways” è un lavoro veramente notevole perché prodotto con cura, scritto bene e presentato con ammirevole chiarezza. La sua non è un’opera di rivisitazione o rielaborazione, perché l’amore per la materia originale è evidentemente troppo forte (o limitante) per apportare, a differenza di quanto fecero i Raven ai loro tempi, grandi novità o sconvolgimenti. Qui si potrebbe piuttosto parlare di una intelligente attualizzazione di suoni ed impatto grazie alla quale gli Helms Deep mantengono puro ed inalterato il loro messaggio, evitando però di farlo suonare già vecchio in partenza. Consigliato, ed ancor più godibile – dato lo stile, le circostanze e la bella copertina – nell’edizione in vinile proposta dalla Nameless Grave Records di Seattle.

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