Hellfest 2022 Parte 2: Live Report del Day 3 con Fleshgod Apocalypse, Nero Di Marte e altri

Il meteo della terza giornata del festival si presenta (almeno sulla carta) migliore rispetto a quella precedente. Sebbene raffreddato da un forte vento, oggi il sole irromperà tra le nuvole rimaste e illuminerà i palchi, regalando ai presenti un senso di sollievo collettivo. Questo terzo atto vedrà esibirsi sullo stage The Altar due formazioni tricolore; sarà dunque immancabile la mia presenza presenza sotto al palco, successivamente altre band di gran calibro si aggiungeranno ad un buon bill conferendo
ai Guns N’ Roses l’onore di chiudere la giornata. Questo però, sarà per me un giorno a metà; purtroppo dei problemi familiari mi spingono a dover lasciare il festival verso sera, obbligandomi ad abbandonare questa terra, che tanto a lungo ho sognato, con più di un giorno d’anticipo.
E pensare che il giorno che più attendevo con ansia era il quarto ed ultimo, dove si sarebbero esibite band Death e Black d’eccezione, ma purtroppo nulla si può davanti a certe problematiche.

NERO DI MARTE

Non è nemmeno mezzogiorno quando mi preparo al primo concerto della giornata. Da lì a pochi minuti inizieranno a suonare i Nero Di Marte, band italiana dal grande valore musicale che purtroppo non ho mai avuto il piacere di vedere dal vivo. Arrivato allo stage “The Altar” noto con amarezza che non sono molti i presenti sotto al palco, però sento con piacere dai vari chiacchiericci vicino alla transenna che non sono l’unico italiano accorso a sostenere la band tricolore originaria di Bologna. I nostri partono alla grande, mettendosi subito in mostra e risvegliando i pochi presenti, che probabilmente hanno usato il grande tendone, ora tremante, solo per trovare riparo dal forte vento mattutino. È subito chiaro che quello dei Nero Di Marte è uno show in grado di fare viaggiare i presenti per oscure correnti di suoni graffianti ed evocativi, e non sarà facile distogliere l’attenzione dal palco per i 30 minuti a seguire. La performance dei singoli è eccellente e non posso che ammirare la tecnica che i nostri compatrioti sprigionano ad ogni singolo verso.
Sean Worrell in primis non delude assolutamente le mie aspettative, incantandomi con la sua voce aggressiva e delicata che, come da album, accompagna egregiamente la parte strumentale alternando momenti impetuosi a parti più pacifiche e pienamente ipnotiche, esibendosi in una performance sentita e quasi distaccata dalla platea sottostante, come se fosse solo nella propria stanza a provare, lasciandosi trasportare dalla propria musica. La performance degli italiani continua di minuto in minuto ad attirare sempre più esterni sotto al palco, ed è giusto così dato che lo show in atto è una vera e propria dimostrazione di abilità e valore.
Non male anche il reparto dei suoni, anche se personalmente avrei alzato leggermente le basse, dando più botta a un Andrea Burgio in ottima forma. A chiusura show sono pochi i ringraziamenti, il concerto è letteralmente volato lasciando i presenti scossi ma ammaliati da quella che è stata un’ottima prova ed una grande apertura di giornata.

HUMANITY’S LAST BREATH

Gli Humanity’s Last Breath sono una band svedese formatasi nel 2009; il loro ultimo album, “Välde”, che ha riscosso critiche positive nel panorama deathcore, vedrà oggi la sua esecuzione live portando quella freddezza e compattezza che lo particolareggiano. Personalmente conosco poco di loro e sono presente solo per curiosità, ma è proprio così che alle volte si scoprono
dei nuovi gruppi da mettere nella propria top list personale. Sotto al palco non c’è molto movimento e, come per i Nero Di Marte, i presenti sembrano riempire solo una piccola fetta dell’ area circostante; ma questo non fermerà gli svedesi nel dare il massimo sul palco. Iniziato lo show è subito chiara la proposta, un deathcore crudo tendente a quel blackened death moderno, con piccoli intermezzi melodici che illuminano l’offerta tetra della band originaria di Helsingborg. Sul palco sono tutti vestiti di nero, e certamente non poteva essere altrimenti data la sensazione cupa ed oscura
che la musica trasmette, non posso però fare a meno di notare qualche sorriso da parte di un fierissimo Buster Douglas Odeholm, chitarrista e produttore della band, che tra un brano e l’altro incita il pubblico con grande soddisfazione. I suoni sono secchi e ottimamente mixati e grazie alla loro pesantezza, le due asce onstage non fanno minimamente sentire l’assenza del basso. Il pubblico, sebbene relativamente “povero” in sala, si fa sentire e non manca di far partire qualche circle pit tra una canzone e l’altra, anche se questi vengono spesso interrotti da rallentamenti e breakdown. Uno show piacevole, ma che non mi entusiasma completamente. Finito il tempo a disposizione, gli HLB ringraziano i presenti e lasciano un palco alquanto spoglio, per la band che si esibirà successivamente.

IGORRR

Mi sposto immediatamente sul palco adiacente, il “The Temple“, per un’altra band che non conosco molto ma per la quale nutro molto rispetto data l’ultima interessantissima uscita, “Spirituality And Distortion”.
Sebbene il genere non sia il mio pane, sono molto curioso di sentire cosa Igorrr e soci proporranno live, ma purtroppo questo dovrà tardare in quanto la band francese sembra avere da subito problemi tecnici.
Come per gli Obscura il giorno precedente, anche il live degli Igorrr subisce un netto ritardo, con conseguente taglio della scaletta, ma fortunatamente in questo caso appena la band francese risolve il tutto, i suoni sono da subito ben calibrati e perfetti. Mi trovo sulla sinistra estrema del palcoscenico e non passa molto prima che il mio fiato venga completamente mozzato dalla resa sonora e dal talento dei singoli componenti sul palco. Il live procede come se fosse una lama sulla carne, non noto nulla che non vada ed anzi, i nostri eseguono i brani in maniera più che ottima, eliminando il piccolo rammarico, derivato dalla perdita iniziale di tempo, che fino a pochi minuti fa si poteva respirare tra il pubblico. A metà show sono totalmente conquistato dalla bellissima voce di una fantastica Aphrodite Patoulidou, celestiale e diabolica che alternandosi a un ottimo JB Le Bail, crea intrecci musicali pazzeschi e mirabili. Lo stile barocco che si fonde al breakbeat di Igorrr fa sembrare il tutto fantascienza, non è un concerto come altri e sono tanti i presenti che accolgono questa musica in maniera diversa, chi a centro sala non perde l’occasione per pogare, chi osserva con molta curiosità ogni singolo movimento dei musicisti sul palco e chi si lascia pienamente rapire dalla musica, dando l’impressione di essere in un luogo totalmente differente da quello in cui si trova. Questa è la musica di Igorrr live, non di immediata comprensione ma di certo di forte impatto. Finito il live sono soddisfatto, la prossima volta non esiterò nel provare almeno ad avvicinarmi al palco.

FLESHGOD APOCALYPSE

Ritorno al cospetto dello stage “The Altar” e lo faccio in presenza dei Fleshgod Apocalypse, seconda band italiana che ha trovato posto in questa terza giornata di festival. I Fleshgod si può dire che siano diventati, dopo il contratto firmato con la Nuclear Blast nel 2011 seguito dall’uscita di “Agony”, una band di rilievo sulla bocca di molti estimatori del genere. Il brano che effettivamente li ha lanciati è senza ombra di dubbio “The Violation” e sarà proprio con questo estratto di “Agony” che la band inizierà il concerto in quel dell’Hellfest. I nostri entrano dunque sul palco assieme alle linee orchestrali del noto brano, facendosi accogliere caldamente da un pubblico ben numeroso; accennano un lieve saluto che risponde al benvenuto e poi si parte subito al massimo con il blastone di Eugene Ryabchenko, pronto a farsi esaltare dai presenti che immediatamente iniziano a farsi spazio creando un’area mosh di discrete dimensioni. Onstage i “nostri ragazzi”, che come sempre sono nelle loro eleganti vesti da scena, coordinano il loro headbanding con grande furia, bloccandosi non appena Paoli si dirige al microfono per spezzare (in parte) la violenza dell’intro. La prima impressione che ho avuto è che la voce fosse troppo bassa, ma fortunatamente i tecnici hanno velocemente assestato il tutto, livellando diligentemente i volumi dei vari strumenti sul palco che con impeto si stanno schiantando sui volti dei fans attaccati alla transenna.
Si susseguono successivamente brani provenienti dai vari dischi incisi dai perugini, tra questi, il singolo “NO” troverà grande consenso. Purtroppo però, i Fleshgod non delizieranno i fan con brani provenienti da “Mafia”, o da “Oracle”, primi lavori della gruppo che nemmeno oggi troveranno spazio in scaletta; Lo show procede a gran ritmo con un mosh che diventa sempre più violento e sempre più grande esplodendo poi in un gigantesco wall of death. Per il resto tutto suona a dovere, forte e d’impatto, accompagnato da una doppia cassa triggerata che martella costantemente le casse.
Sugar“, “Minotaur” e “Monnalisa” aprono le strade a “The Fool“, brano che vede salire sul palco Julien Truchan dei Benighted, egli aggiungerà al pezzo un ulteriore tocco di brutalità e pesantezza, ma prima di ciò, Francesco Paoli spende due parole sulla morte del compianto Trevor Strnad, cantante, frontman ed anima dei The Black Dahlia Murder.
Il concerto si conclude con “The Forsaking“, altro classico proveniente da “Agony” che vede per l’ultima volta i presenti affrontarsi a suon di spallate e wall of death. I ringraziamenti di Francesco Paoli accompagnano la fine di uno show di gran pregio, che ha gustato i presenti dal primo all’ultimo
minuto. Speriamo di vedere in futuro altre band italiane salire su questo palco o perchè no, sul Mainstage 1 e 2.

La serata è ancora lunga, ma purtroppo per me finisce qua. Sono felice e grato per gli show che ho visto fino a oggi, ma non posso fingere di non essere rammaricato per non poter vedere altre band. Non mi è mai capitato prima di essere obbligato a lasciare un evento in seguito a gravi problematiche, ma purtroppo mi tocca adesso, così, preparato lo zaino e smontata la tenda, mi avvio verso il treno che mi porterà all’aeroporto, con un’esperienza nel bagaglio in più, nuove amicizie e nuovi ricordi, ma sfortunatamente senza aver concluso questo festival.

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