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Hell Boulevard – Recensione: In Black We Trust

Sono passati già due anni dall’uscita di “Inferno”, l’album di debutto degli Hell Boulevard che tanto ci aveva colpito grazie al loro goth n’roll trascinante e ruffiano. Ora la formazione capitanata da Matteo VDiva Fabbiani ritorna con un nuovo lavoro di zecca intitolato “In Black We Trust” che ha il compito di bissare quanto di buono abbiamo sentito in precedenza. Formula vincente non si cambia ed infatti con questo nuovo platter si riprende da dove li avevamo lasciati e cioè un gothic rock sinuoso e ammaliante che prende sottobraccio il rock’n’roll più sporco e decadente e lo infarcisce di un tappeto di synth mai fuori posto che si intreccia alla perfezione alle composizioni.

Tracce variegate che soddisfano tutti i gusti e i palati a partire dall’iniziale e anthemica titletrack, un inno trascinante, che fa salire l’adrenalina a mille e lascia senza fiato a cui segue la più cadenzata “As Above So Below” dove  emerge un sound dal flavour epico abbellito dall’uso del pianoforte che ne rafforza il tappeto sonoro. La successiva “Satan In Wonderland” è rabbiosa, martellante ed incisiva, una song fatta per lasciarsi andare e scatenare senza freni sulle piste dei dance floor più rinomati a cui si contrappone la più melodica ed intensa “Thanks For Nothing”. “The Devil’s Ark” è uno dei primi brani composti per questo album, un album in cui si nota subito un netto miglioramento per quanto riguarda la produzione e che fa risaltare un sound più potente e compatto. Andando avanti con l’ascolto ci colpisce la conturbante “My Dead Valentine”, perfetta dark ballad che vorreste vi venisse dedicata dal vostro bel principe tenebroso della Transilvania, irresistibile e letale come il morso di un vampiro.

Altra composizione di alto livello è “Zero Fucks Given” song dall’incedere martellante, caratterizzata da un ritornello particolarmente catchy e memorizzabile, efficace al punto giusto. Le coordinate di questo “In Black We Trust” sono tracciate e i brani restanti non si discostano da quanto ascoltato finora, ma continuano a completare il sound della band, a partire dalla Mansoniana “Gods Gone Wild” o da “My Favorite Lie” dal retrogusto volutamente ottantiano o dalla malinconica ballata conclusiva “Rest Well”. Quello che è certo è che questo album nella sua variegata interezza funziona alla perfezione e non potevamo chiedere di più. 

 

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