Diciamoci la verità: non sono tante le band che in campo estremo rappresentano delle certezze. In questo pantheon, troviamo sicuramente gli americani Hatebreed, forti di una carriera venticinquennale che li ha visti sempre in primissima linea. Con la pubblicazione di “Weight of the False Self” sotto l’egida di Nuclear Blast, il combo originario del Connecticut giunge all’ottava prova sulla lunga distanza; sebbene siano passati quattro anni dal precedente “The Concrete Confessional”, i Nostri non hanno perso un’oncia della loro attitudine sfrontata e tosta.
Con queste premesse, dunque, non vi aspettate grandi cambiamenti nella proposta degli Hatebreed: come l’artista immortalato da Eliran Kantor in copertina, il gruppo scolpisce nella pietra il suo sound e ci regalano altre dodici solide tracce che fondono brillantemente Hardcore e Metal, in un ibrido originale e personale, divenuto negli anni vero e proprio marchio di fabbrica del gruppo.
Basta schiacciare il tasto Play, infatti, per ritrovare atmosfere familiari e lasciarsi travolgere dal riff granitico di “Instinctive (Slaughterlust)”, che ci introduce in questo “Weight of the False Self”. Preparatevi perché non ci sono attimi per fermarsi a rifiatare: la successiva “Let Them All Rot”, infatti, picchia ancora più duro, con il suo tiro brutale che fa il paio con la più cadenzata – ma altrettanto aggressiva – “Set It Right (Start With Yourself)”.
Senza pause, ci imbattiamo nella title track, manifesto programmatico di una band che nonostante i tanti anni di attività riesce ancora a mantenere viva la propria anima: duri e puri, infatti, gli Hatebreed restano sempre credibili e riescono a trasmettere nella loro musica (come anche nei testi) la voglia di rivalsa, di non arrendersi mai e di lottare contro le brutture di un sistema socio-economico (nello specifico, quello a Stelle e Strisce) che vuole buttarti giù, che ti vuole omologato e allineato al suo pensiero. Contro tutto questo, Jamey Jasta e i suoi compari si scagliano con aggressività e rabbia, spingendoci a cantare a squarciagola inni contro il potere.
La seconda parte del disco si apre con “A Stroke of Red”, mid-tempo dalle suggestioni oscure che può vantare un riff dotato di ottimo groove. Si torna su ritmiche più veloci con “Dig Your Way Out” e “This I Earned”, brani che ci lanciano verso un finale caratterizzato da tracce ora più possenti – “From Gold to Gray” – ora più cadenzate – “Wings of the Vulture” – per poi sfociare nella più evocativa “Invoking Dominance”, con le sue atmosfere post-apocalittiche di grande presa.
Questi sono gli Hatebreed nel 2020, una band che riesce ancora a convincere con una proposta solida e in linea con quanto abbiamo fin qui proposto. Se non avete mai ascoltato il gruppo, questo disco vi permetterà di conoscere una delle realtà più solide in circolazione. Se siete dei fan, invece, già sapete di cosa stiamo parlando: alzate pure il cappuccio della vostra felpa, che la carica abbia inizio.
