Hammerfall: “Never Forgive, Never Forget” – Intervista a Oscar Dronjak

Domenica pomeriggio: arriviamo al Live Club di Trezzo Sull’Adda intorno alle 16 e attendiamo pazientemente la fine del soundcheck in corso; ad aspettarci c’è una bella chiacchierata con il chitarrista degli Hammerfall, Oscar Dronjak. Lo seguiamo sul tour bus della band (decisamente troppo “ristretto” per la sua altezza) e scopriamo una persona cordiale e piacevole, che vince la sua innata riservatezza per parlare con noi di cosa ci aspetta questa sera, della vita in tour, del suo rapporto con i fan e di una curiosa teoria sul perché quasi tutto il metal degli ultimi anni arrivi dalla Svezia.

Ciao Oscar, innanzitutto grazie di essere qui con me. Come sta andando il tour degli Hammerfall fino ad ora?

Benissimo. Si tratta del tour più grande che abbiamo mai fatto in termini di produzione e venue in cui stiamo suonando. In questi casi è sempre un rischio, è un investimento molto costoso e non sai mai se funzionerà o meno, ma fino ad ora sta andando davvero bene, ne siamo molto contenti.

Cosa puoi dirmi dei tuoi compagni di tour, i Serious Black e i Battle Beast, che saliranno sul palco prima di voi?

Ci conosciamo da molto tempo, quindi andiamo molto d’accordo. Ma devo dire che ora non passo tanto tempo con le altre persone dopo gli show. In passato non perdevamo occasione per fare festa, berci qualche birra, ma in questo tour mi è capitato solo una volta. Dopo il concerto sono stanco e voglio andare a dormire, non sento più quella necessità di fare festa. Fino a due anni fa, anche se non si passava tutta la notte a bere, comunque spendevamo del tempo con gli altri. Adesso non ne ho più tanta voglia, preferisco alzarmi presto e avere più tempo per fare le mie cose.

“Dominion” è uscito l’estate scorsa e i vostri fan hanno avuto modo di familiarizzare con il disco. Com’è stata la loro reazione fino ad ora?

Ottima. Quando registri un disco, hai le tue sensazioni, ma non sempre la reazione del pubblico è la stessa che hai tu. Fino ad ora, però, i nostri fan stanno reagendo esattamente come noi. Personalmente, credo che sia uno dei nostri dischi migliori. Lo dico sempre, ma questa volta, oggettivamente, il risultato delle registrazioni è davvero forte, ne sono molto orgoglioso. Stasera suoneremo cinque pezzi dal disco, non è il numero maggiore di pezzi nuovi che abbiamo mai suonato dal vivo, ma nemmeno il più basso. Si tratta del nostro 11esimo album e ora quando scrivo una canzone penso sempre a come potrebbe essere live: i pezzi di questo disco si combinano perfettamente con il resto della scaletta e sono proprio divertenti da suonare dal vivo.

E parlando di setlist, con 11 dischi all’attivo, come fate a scegliere quali pezzi suonare senza lasciare insoddisfatto nessuno?

Joacim e io abbiamo un patto: lui preferisce inserire pezzi che sappiamo suonare molto bene e di sicura riuscita dal vivo, mentre io, per la mia salute mentale, preferisco inserire pezzi nuovi, non riesco a suonare sempre le stesse canzoni. Quindi abbiamo raggiunto un compromesso: suoniamo tutte le sere le stesse canzoni, e credo che sia una buona idea perché in questo modo impari dai tuoi errori, ma in questa setlist abbiamo moltissimi nuovi pezzi. Ci sono 19 pezzi in scaletta, e credo che solo 7 siano gli stessi del precedente tour. Naturalmente abbiamo i brani di “Dominion”, ma ci sono anche molte sorprese. E questo è principalmente per il mio bene! Se mi metto nei panni di un fan e penso ad esempio ai Judas Priest, possono suonare qualunque pezzo dalla loro discografia, io lo conoscerò e lo apprezzerò in ogni caso. E mi aspetto che anche i nostri fan abbiano questo approccio. Quest’anno è anche il ventennale di “Renegade”, per cui ci sarà qualcosa di legato al disco, ma in generale credo che suoneremo almeno un pezzo da ogni album, che è una cosa che non facciamo da moltissimi anni.

Voi siete svedesi e devo dire che, negli ultimi vent’anni, la Svezia e la Scandinavia in generale hanno dato i natali a moltissime band metal di grande successo. Secondo te, come mai? Magari per una cultura musicale particolarmente favorevole a questo genere?

Non è facile trovare una risposta a questa domanda. Secondo me, una cosa è particolarmente importante, ed è l’educazione musicale che riceviamo, che in Svezia è, o almeno era, davvero molto buona. I ragazzi della mia generazione, nati negli anni ’70 e ’80, erano davvero incoraggiati a iniziare a suonare molto presto, non solo musica rock, ma in generale qualunque strumento: ad esempio io ho suonato il trombone per quattro anni, prima di capire che non mi interessava nessun tipo di musica che comprendesse il trombone. Quindi perché non spostarsi su uno strumento che andasse d’accordo con un genere di mio gradimento?
Comunque, questo è un punto; non credo sia così ancora oggi, ma all’epoca ricevevi anche molti aiuti da parte delle amministrazioni locali per sale prova e cose del genere. E questo era molto importante.
Poi, alcuni credono sia collegato al fatto che in inverno in Svezia non c’è molto sole, ma io non ci credo troppo. Ok, può essere che le persone per questo tendano a stare in casa, ma non credo sia un elemento rilevante.
Invece penso, da svedese, che molti nel mio paese abbiano una spiccata individualità, che li porta a non accettare compromessi nella loro musica. Difficilmente le band svedesi farebbero qualunque cosa per avere successo, come succede ad esempio agli americani. Per gli svedesi è l’opposto e lo puoi vedere nelle varie band svedesi, indipendentemente dal genere: guarda gli At the Gates, In Flames, Dark Tranquillity, Hardcore Superstar, Sabaton, Hammerfall, la lista è quasi infinita, ma il punto è che ognuna di queste band ha un suono unico e personale, non si adeguano ad un genere copiandone gli stilemi. Hanno tutte una loro personalità e per me questa è la prova vivente della mia teoria.

Gli Hammerfall hanno alle spalle più di 20 anni di carriera: com’è cambiato il vostro approccio verso gli show dal vivo e il rapporto con i fan, se è cambiato?

Sì, è sicuramente cambiato. Nei nostri primi due tour eravamo davvero inesperti; avevamo fatto degli show con altre band di Göteborg, la nostra città, ma erano cose piccole, e ricordo la prima volta che siamo stati al Wacken Open Air, il nostro primissimo spettacolo fuori dalla Svezia. Certo, il Wacken all’epoca non era un festival da 87.000 persone come oggi, ma erano comunque 10-15.000 spettatori e ricordo che è stato il mio primo show con un tecnico della chitarra. Non sapevo cosa fosse, ero abituato a fare tutto da solo. E quando abbiamo iniziato a suonare avevo paura che qualcosa andasse storto, perché non me ne ero occupato in prima persona! Dovevo avere fiducia in un perfetto sconosciuto, che avevo incontrato la mattina stessa. Se ci penso adesso, eravamo davvero ingenui.
Pian piano, impari e ti adatti a tutte queste cose, anche se mi ci è voluto molto tempo per capire quanto gli Hammerfall fossero diventati famosi a livello internazionale, ci ho messo anni a rendermene conto. Il nostro primo show da headliner risale al 1998 e già allora avevamo definito tutte le nostre caratteristiche principali, i riferimenti agli anni ’80, i fuochi artificiali, e poi con il tempo abbiamo imparato cosa fare e cosa no.
Anche l’interazione con i fan è diversa: all’epoca del nostro primo tour con Tank, Raven e Hammerfall e del secondo con Jag Panzer e Gamma Ray, io avevo 24 anni e ci piaceva uscire con le persone, ci godevamo la vita, incontravamo i fan. Più diventi grande come band, più sale la pressione sul gruppo e sulle performance e di certo diventi meno accessibile. Sai, io sono cresciuto con i Kiss, gli Accept, e non puoi semplicemente startene fuori dal tour bus e pensare che gli artisti siano lì per te. Le persone devono capire che questa è la nostra casa: pensa di essere fuori dalla casa di qualcuno e magari questo qualcuno si sveglia e non ha ancora preso il caffè al mattino o ha le sue cose da fare…a volte va bene, ma non sempre. In generale, io dico sempre che preferisco gli animali alle persone, e so che i fan sono lì solo perché ti amano e amano la tua musica, lo capisco e solitamente non ho alcun problema con questo, ma a volte hai l’impressione che loro pensino che tutto gli sia dovuto solo perché hanno comprato il biglietto. Ma non funziona sempre così, funziona solo se tutti sono dell’umore giusto e stanno avendo una buona giornata. Ma io ora ho 48 anni, ho meno tempo per questo, ho delle cose da fare e a volte se mi metto in testa di doverle fare non mi piace essere interrotto, anche se i fan ti approcciano senza cattive intenzioni. Ed è allora che la gente dice “ho incontrato quello lì ed è uno stronzo”…ok, ma quali erano le circostanze? Magari hai interrotto una cena con la sua famiglia…bisogna sempre considerare la situazione. Probabilmente in alcuni casi avrei potuto gestire delle situazioni in maniera diversa, ma le persone sono fatte così, non sempre sono di buon umore, è impossibile. Per quanto cerchi di essere positivo, non è sempre facile: se qualcuno è nel posto sbagliato al momento sbagliato, allora l’interazione può essere spiacevole.
Però naturalmente apprezzo l’affetto dei fan: ad esempio, un paio di giorni fa c’era una donna con una tavoletta di legno tutta rifinita, molto bella, con una foto degli Hammerfall: l’abbiamo autografata per lei, non avevo mai visto una cosa del genere, era davvero bella. Apprezzo queste cose, ma quello che conta è sempre la tempistica.

E siamo arrivati all’ultima domanda: avete un rituale o una routine particolare prima di ogni show?

Sì, ce l’abbiamo tutti. Non di gruppo, ma ognuno ha le sue abitudini. Circa un’ora prima dello show ci riuniamo: Joacim inizia a scaldarsi, io di solito bevo una coca cola e suono per 15 minuti. Ognuno si prepara ed è questo il nostro rituale. Ti prepari e ti focalizzi sulla performance. Per anni abbiamo parlato di avere una playlist nel cambio palco tra la band prima di noi e gli Hammerfall, che terminasse con una particolare canzone, e non l’abbiamo mai fatto…fino ad ora. Questa volta abbiamo una playlist di 29 minuti con Manowar, Helloween, brani che ci piacciono e che possono caricare anche il nostro pubblico. E l’ultima canzone è sempre “Balls To The Wall” degli Accept. Quindi sappiamo che quando parte quel pezzo dobbiamo prepararci a salire sul palco: è una delle mie canzoni preferite in assoluto e quindi mi aiuta molto ad avere la giusta carica, ma anche il pubblico la adora. Magari di più i tedeschi, dato che gli Accept sono una band tedesca, ma è un pezzo che tutti conoscono, lo capiamo perché sentiamo sempre il pubblico che la canta. Poi, l’ultima cosa che facciamo e battere il pugno; parte l’intro, io e Joacim ci guardiamo e siamo pronti ad andare. E questo è il nostro rituale da un po’ di tempo a questa parte.

Ilaria Marra

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Braccia rubate alla coltivazione di olivi nel Salento, si è trasferita nella terra delle nebbie pavesi per dedicarsi al project management. Quando non istruisce gli ignari colleghi sulle gioie del metal e dei concerti, ama viaggiare, girare per i pub, leggere roba sui vichinghi e fare lunghe chiacchierate con la sua gatta Shin.

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