Recensione: Hacktivist

“Credo che la speranza sia tangibile nell’album. E’ forse poca, ma ce n’è”. Questo detto dal leader di una band che nel libretto del proprio cd fa risaltare la frase “Is God making angels of us all?” strettamente connesso con uno dei brai presentati in ‘Hacktivist’ “sì è un aggancio. Rispetto ai media francesi mi rendo conto che voi siete più attenti a queste cose, tanto che in Francia, nella nostra patria nessuno ha notato questo aggancio. Comunque, è una canzone dedicata al mio migliore amico ucciso lo scorso anno da un pazzo. Forse questa esperienza che è capitata proprio mentre stavo pensando e scrivendo le canzoni del disco ha fatto in modo che ‘Hacktivist’ fosse permeato di malinconia e di tristezza.” Già, e che strano che ci si trovi a parlare di una band prettamente “new” proprio in termini che hanno la soddisfazione come primo elemento. Non le solite sparate, non i soliti temi, non la solita ripetitività, non il solito polpettone di già sentito ad esclusivo uso di canali come mtv per fare il finto cattivo. Anzi, forse di vramente cattivo qui non c’è proprio nulla. Artsonic, una band che riesce a divertire senza abbandonarsi ai clichè del genere, che riesce ad andare oltre il muro del “nuovo metallo” per approdare anche alla velleità di far pensare, di aprire brecce, di spingere alla riflessione. Ciò che maggiormente balza all’orecchio nell’ascolto di ‘Hacktivist’ è una doppia faccia del gruppo e del suo modo di comporre: da un lato quello più solido e new metal e dall’altro la forza evocativa dei momenti più melodici ed intimi alcuni dei quali assolutamente imperdibili quali ‘The Trip’. “Sembra che ci siano due band che collidono, è vero, ma alla fine noi siamo così. Nonsiamo la classica band che entra nel carrozzone del nu metal. Siamo in giro da troppo tempo per poter essere toccati da questo genere di cose. Fra l’altro ciascuno di noi suona in altre band e credo che le diverse influenze siano state messe al servizio di Artsonic come se si trattasse di un collettore che le ha raccolte. In un concerto ad esempio, amo che ci siano diversi piani musicali: la forza l’energia e la contemplazione. Per questo tutti noi ci siamo impegnati a fare in modo che ‘Hacktivist’ suonasse vario e rispecchiasse le varie sfaccettature della band.” Un gruppo che ha un passato su major ma che per potersi esprimere ha dovuto architettare un piano di fuga dai palazzi dorati per approdare alla libertà artistica ed alla realizzazione di ‘Hacktivist’: “Precedentemente eravamo su major, è vero. Ci hanno spinti a lavorare in fretta sul disco e quando loro sono stati contenti del lavoro lo hanno fatto uscire. A noi non è mai piaciuto completamente, non abbiamo mai creduto in tutto quello che uscì e questo ci causò uno stress da palco notevole perché è terribile per noi andare su un palco e suonare tutte le sere qualcosa che non ci appaga completamente. Per questo abbiamo cambiato aria, la Warner non faceva per noi, anche perché comunque non hanno promozionato il disco nemmeno in Europa.” Un disco impegnato, solido e tuttavia scorrevole, pratica poco utilizzata dalla maggior parte dei gruppi di questo filone di musica pesante, senza alcuno spazio per la noia. Un ottovolante fra l’abrasiva ‘(re) Edukate The Masses’ e la parte più intima rappresentata da episodi come ‘Still Time’ dove è il rock anni novanta ad emergere in maniera consistente. Anche qui, Sylvian rimarca l’importanza del concetto lirico nobilitato dalla musicalità: “Non intendiamo dire alla gente cosa deve pensare. Vogliamo che la gente possa avere anche un altro punto di vista rispetto a quello che viene imposto. Suggeriamo e portiamo alla luce delle cose, delle notizie, dei concetti, vogliamo che poi la gente pensi con la propria testa. Il disco, poi, sin dal titolo coniuga aspetti differenti: Hacker e Activist. Puoi agire e hackerare, sia con l’informatica che con le idee. La gente ha il potere per cambiare le cose che non stanno loro bene, dovrebbero iniziare ad esserne consapevoli e sfruttarlo. Cambiare punto di vista, questo è importante. La prima arma che abbiamo è una stupidissima carta di credito. Filosoficamnete è un’arma importantissima e temibile per chiunque se ci pensi. Ma non voglio spingermi oltre. Che ciascuno tragga le proprie considerazioni da questo input. Non abbiamo mai lasciato che ci fosse un’interpretazione univoca ai testi del disco proprio per questo fatto: ci sono delle idee, le puoi prendere in considerazione da tanti punti di vista, vogliamo spingere non a pensare come noi ma a pensare. Almeno un po’. Non ci piacciono i dogmi, le istituzioni che annientano il libero pensiero. Non vogliamo prendere una posizione al riguardo, ma vogliamo che queste cose vengano considerate. Usate ognuna delle armi che avete a disposizione: questo il messaggio.” A noi resta il disco, godibile ed assolutamente fresco, destinato con ogni probabilità ad occupare un posto di rilievo nel panorama rock e metal dell’anno, obliquo e ricercato. A volte anche da questi territori le proposte si fanno interessanti. Per Artsonic un ascolto ripetuto è obbligatorio, i ragazzi ci sanno fare. Molto.

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