Frontiers Showcase: Live Report della data di Roma

La Frontiers ha organizzato proprio una bella seratina, il Black Out è gremito ed il pubblico abbastanza variegato, inutile nascondere che ad aver attirato la maggior parte della gente è la presenza di Glenn Hughes.

Ad aprire le danze sono i toscani Green, il loro rock melodico è accattivante ed in sede live ha una resa piacevole. I ragazzi ci sanno fare ed i pezzi non sono affatto male, anche se le influenze Kansas e Rush si fanno sentire forse un po’ troppo. Il pubblico li accoglie con iniziale distacco per poi scaldarsi piano piano. Furbo da parte loro tenere la superba ‘I Still Love’ come ultima freccia. Un brano superlativo che dal vivo ha reso in maniera eccezionale e senza dubbio aggiungendo dinamicità alla versione da studio, lasciando il pubblico pienamente soddisfatto dell’esibizione.

Segue un interminabile cambio di palco, dopo il quale può iniziare lo show del gruppo successivo. I Talisman hanno dalla loro parte esperienza, un lotto di canzoni hard rock di grande presa e Jeff Scott Soto come frontman. Impossibile resistere al carisma del singer americano, scherza continuamente con il pubblico, ci gioca, ci chiacchiera e lo fa partecipare, ed in più ha quella presenza vocale che abbiamo imparato a conoscere. Il gruppo fa letteralmente scintille e propone brani tratti dal vecchio e dal nuovo repertorio, il pubblico gradisce, canta continuamente e si sgola.

Altro lungo cambio di palco ed ecco entrare sua maestà Glenn Hughes. Purtroppo ha dei problemi con l’amplificazione del basso, sembra decisamente alterato, si scusa con il pubblico e promette che, comunque, canterà. Accompagnato da una chitarra acustica eccolo attaccare una versione da brividi di ‘Stormbringer’ ed è chiaro fin fa subito che Mr Hughes è ancora “The Voice Of Rock”, incredibile come il suo timbro sia ancora così limpido e come riesca ancora, apparentemente senza sforzo, a prodursi nei suoi famosi urli. Il pubblico è già in estasi, ma Glenn Hughes esagera ed attacca ‘Mistreated’ ed il concerto potrebbe benissimo finire qui. Invece il singer inglese va ulteriormente avanti, proponendo altre cover riarrangiate in modo gustosissimo per chitarra acustica e basso (che finalmente comincia a funzionare). Il tutto dura, in effetti, molto poco, ma forse uno show più lungo sarebbe risultato noioso. Glenn si accomiata, promettendo di tornare nella capitale tra settembre ed ottobre.

Dopo un altro estenuante cambio di palco, è tempo di Royal Hunt. Il gruppo è compatto, umile e comincia a suonare con grinta ed energia. Peccato che la maggior parte del pubblico sia andata via dopo Glenn Hughes, complice anche l’orario (siamo già dopo la mezzanotte), ma Andersen e soci non sembrano curarsene e danno il meglio di sé proponendo brani del loro repertorio più e meno recente. John West si dimostra cantante preprato e intrattenitore capace, ma a stupirmi, per la verità, è Jacob Kjaer ed il suo modo di suonare la chitarra. Virtuoso elegante e compositore di rara sensibilità, decisamente a suo agio sopra il palco e capace di stabilire da subito un bel contatto con il pubblico.

Il bilancio della serata è assolutamente positivo, tutte le band si sono impegnate a dare il massimo ed il pubblico ha partecipato a quella che, alla fine (complice anche l’intimità del locale), è sembrata più una festa che un concerto. Complimenti vivissimi alla Frontiers, quindi.

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