Recensione: F8

Potranno non essere la band più tecnica o creativa del mondo, ma i Five Finger Death Punch hanno dalla loro un marchio di fabbrica facilmente riconoscibile. A distanza di due anni da “And Justice for None” la band pubblica l’ottavo album in studio che, non a caso, si intitola “F8”, pronunciato “Fate”, ovvero destino, sorte e fato. Dal mio punto di vista potremmo quasi pensare di dividere il disco in due parti: una più aggressiva e una, per così dire, più soft. Dopo una breve intro cinematografica che dà il titolo all’album, arriva “Inside Out”, che è anche il singolo che ne ha anticipato l’uscita. Un inizio con il botto: un brano energico, coinvolgente e radiofonico, infatti ne esiste anche una seconda versione pensata proprio per questo scopo. Il ritornello è marchiato Five Finger Death Punch e non manca il classico assolo di chitarra verso la chiusura del brano. E’ facile ipotizzarne la resa dal vivo, con tanto di circle pit e pogo tra la folla. Lo stesso possiamo dire della successiva “Full Circle”, nonostante il ritmo del ritornello sia più melodico e rallentato. Infine, possiamo immaginare la versione dal vivo anche di “Bottom On The Top”, uno dei lavori più interessanti dell’intero album, con un inizio che ricalca quasi le orme dei mostri sacri dell’heavy e del thrash, i Metallica.
Nonostante i Five Finger Death Punch non siano propriamente conosciuti per la loro creatività, un brano come “To Be Alone” mette in gioco una versatilità, che invece emerge poco nel resto del disco, grazie alla presenza di ritmo quasi groove che caratterizza le strofe. Al contrario, la successiva “Mother May I (Tic Toc)” sembra quasi passare inosservata e non è memorabile come le precedenti tracce, nonostante lo stile sia sempre sostanzialmente il medesimo. Non possiamo dire lo stesso di “This Is War”, che già dal titolo lascia intendere la potenza a livello musicale e vocale: è la traccia più aggressiva del lotto, a tratti quasi martellante. Il pogo è assicurato! Includiamo in questo “macro gruppo” di canzoni anche “Scar Tissue” che non è la cover dell’omonima traccia dei Red Hot Chilli Peppers, se è quello a cui stavate pensando, bensì uno dei tipici brani firmati FFDP, in cui tra l’altro spicca particolarmente la linea di basso.

Abbiamo precedentemente accennato ad un’ipotetica divisione del disco, sulle tracce più aggressive. Adesso è il momento di analizzare la parte più introspettiva e intimistica. Risalta subito “A Little Bit Off” per la sua particolarità: chitarra acustica e base delicata, niente di tutto quello a cui i Five Finger Death Punch ci hanno abituato. E’ quasi difficile definirlo un brano metal, bensì piuttosto radiofonico, che mette bene in mostra la versatilità e il timbro di Ivan Moody. “Darkness Settles In” rappresenta un momento speciale, mentre “Brighter Side Of Grey” è stranamente la traccia di chiusura, che forse un po’ stride con lo stile predominante della band. A metà tra i due poli opposti troviamo “Living The Dream” e “Leave It All Behind”, che scarseggiano di energia, quasi come se fossero dei riempitivi. Forse sarebbe stato meglio includere le due tracce bonus, ovvero “Making Monsters” e “Death Punch Therapy”.
In conclusione, “F8” non è un album particolarmente innovativo, ma cerca di accontentare un po’ tutte le preferenze degli ascoltatori e di allargare i consensi, con brani più melodici e radiofonici. Un disco metodico e a tratti ripetitivo, ma che punta tutto sulla vocalità del suo cantante e sull’energia che da sempre caratterizza i Five Finger Death Punch.

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