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Enuff Z Nuff – Recensione: Diamond Boy

Sono passati due anni dall’uscita dell’ultima produzione targata Enuff Z’Nuff, quel “Clown Lounge” che più che un album vero e proprio è una raccolta di brani mai sentiti prima e composti nel periodo ’88-89 nel Wisconsin quando il gruppo stava lavorando ai demo per il loro debutto. Ora ritroviamo la band capitanata da Chip Z’Nuff alle prese con un album nuovo di zecca che contiene undici composizioni inedite e che per la prima volta in assoluto è priva del contributo del compare e co-fondatore Donnie Vie. E qui sorge spontanea una domanda. Ha ancora senso portare avanti un progetto come questo utilizzando ancora il nome degli Enuff Z’Nuff o sarebbe auspicabile continuare con un monicker diverso? Ma dubbi amletici a parte è forse meglio lasciar parlare la musica e questo platter parla eccome se parla, trasuda ancora l’essenza dei vecchi e classici Enuff Z’Nuff e quelle melodie ariose e sbarazzine che tutti noi conosciamo e non possiamo farne a meno. 

Tralasciando il breve intro corale “Transcendence” passiamo subito alla titletrack, una composizione ipnotica e irresistibilmente old school a cui non manca proprio nulla e che ci entra in testa dal primo ascolto così come la successiva “Where Did You Go”, avvincente brano di melodic rock impreziosito da un coinvolgente assolo centrale di chitarra che ne rafforza la colonna portante.  We’re All The Same” invece è un pezzo più cadenzato in cui risalta la straordinaria capacità della band di creare dei cori semplici e ficcanti allo stesso tempo, mentre in “Fire & Ice” l’influenza dei Beatles è molto marcata e ben dominata da intense armonie. Dal retrogusto più psichedelico e retrò risulta “Down On Luck” a cui segue “Metalheart”, sicuramente il brano più “heavy” del lotto in cui si sposa alla perfezione il deciso groove pulsante e trascinante con azzeccate combinazioni melodiche che danno freschezza alla composizione, non risultando mai banale.

Poi è la volta della semi-ballad “Love Is On The Line”, Beatlesiana nel midollo posta prima di uno dei pezzi più convincenti di questo platter, una “Faith, Hope & Luv” dove la band mostra il lato più ruvido e che si apre con un refrain in crescendo davvero azzeccato. La melodica e zuccherosa “Dopesick” ci porta alla fine con il pezzo conclusivo “Imaginary Man”, una composizione dal retrogusto pop glam anni settanta influenzata tanto dal Bowie di quegli anni che dai mitici e seminali Cheap Trick. Si può condividere o meno la scelta di Chip Z’Nuff di portare avanti li nome della band tutto da solo accompagnato dai chitarristi Tory Stoffregen ,Tony Fennell e dal batterista Dan Hill, ma non si può negare la sua innata capacità si scrivere pezzi che rimangono subito impressi e ci ricordano l’essenza stessa dei vecchi Enuff Z’Nuff e non è una cosa da poco. Da ascoltare senza pregiudizi.

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