Metallus.it

Enslaved – Recensione: Utgard

Molte band, trovata la loro strada, la percorrono senza alcuna svolta, altre invece, come gli Ensalved, dopo 14 album e quasi trent’anni di carriera, hanno ancora voglia di sperimentare e di rinnovarsi. 

Diciamo subito che “Utgard” è un’opera rara che, però, non si apprezza completamente al primo passaggio, ma che ha bisogno di un po’ di pazienza per essere goduta a pieno. Ci troviamo, infatti, di fronte ad una capacità, direi unica in tutto il panorama musicale, di unire generi e attitudini diversissime tra loro, non solo nello stesso album, ma addirittura nello stesso brano senza alcun tipo di dissonanza rimanendo fedeli alle proprie origini.

Per capire meglio il perché di tanto entusiasmo conosciamo meglio gli autori: gli Ensalved vengono fondati in Norvegia nel 1991 dai giovanissimi Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson, nei primi anni dimostrano di essere da gruppo piuttosto canonico di Black/Viking e per i primi 3 album poco si discostano. Superati questi intraprendono una coraggiosa evoluzione verso il progressive e la sperimentazione riuscendo a non discostarsi troppo dalla musica delle origini. 

Di album in album e di evoluzione in evoluzione giungiamo a questo “Utgard”.

L’album parte con “Fires In The Dark” che è forse il pezzo più esemplificativo di cosa ci aspetterà da qui in avanti, dopo un bel coro che trasuda epica da tutti i pori, inizia una splendida alternanza tra chitarra acustica, riff decisamente lontani da certe sonorità e Black canonico, il tutto senza soluzione di continuità.
In alcuni momenti sembra di ascoltare i Pink Floyd se fossero nati in un villaggio vichingo. 

Torniamo subito a lidi più “normali” con “Jettegryta”: l’unico pezzo Black abbastanza canonico senza grandi esperimenti.

Ci attende, quindi, Sequence con il suo intermezzo sognante e subito dopo Homebound, il primo singolo, con momenti quasi alternative. 

“Utgard” è il classico intro che ci aspetteremmo sfoci in qualche pezzo veramente molto Bathory e, invece, in “Urjotun”, quando ti aspetti una bel muro di chitarra parte un pezzo di elettronica tedesca anni 80, sicuramente spiazzante, ma altrettanto in linea con il resto dell’opera.

Dopo la sorpresa riprendiamo con “Flight Of Thought And Memory Dark” con la, ormai, consueta alternanza tra Progressive e Black.

In “Storms Of Utgard” alcune sonorità oscillano anche in direzione del Metal Classico.

Finiamo con “Distant Seasons” che in certi momenti sembra quasi un pezzo ambient e in altre ricorda le sonorità dei Ghost.

Alla fine del primo ascolto rimaniamo un po’ interdetti, perché è un album talmente vario che per apprezzarlo dobbiamo sorprenderci di ascolto in ascolto con qualche parte che non avevamo assimilato, qualche variazione che ci era sfuggita o qualche altra sorpresa che era rimasta nascosta.

Per godere a pieno questa opera dobbiamo ascoltarla nella sua interezza e con grande attenzione altrimenti si perde il reale valore e sembrerà di ascoltare dischi diversi di autori diversi di generi diversi invece di un’unica grandiosa prova di genialità.

Exit mobile version