Dream Theater – Recensione: Distance Over Time

Dopo l’abbuffata del mastodontico “The Astonishing”, album che, piacesse o meno, denotava uno sforzo produttivo enorme e tipico di quel tipo di operazioni, i Dream Theater cambiano registro sotto vari punti di vista.

Innanzitutto un taglio netto con (quanto rimane del)la storica label Roadrunner e l’approdo alla Inside Out Music, l’etichetta che più di tutte ha cercato di promuovere band appartenenti al poco circostanziato movimento progressive rock/metal che faceva proprio riferimento allo stile portato avanti dagli americani. Secondariamente un approccio back to the roots con i membri del gruppo che hanno vissuto insieme per qualche mese cercando di rinsaldare una fratellanza non solo artistica ma anche umana.

Vediamo quindi come il risultato di tutto ciò, che va sotto il titolo di “Distance Over Time”, abbia risentito di tale approccio!

Il primo singolo “Untethered Angel” parte con un tipico arpeggio malinconico di Petrucci che lascia il passo ad un riff maestoso e mette in luce subito gli splendidi suoni che il gruppo di lavoro che ha affiancato la band (Richard Chycki, Ben Grosse e Tom Baker) è riuscito a tirar fuori dallo Yonderbarn studio; non eccelsa la linea vocale di LaBrie che penalizza leggermente un pezzo che invece dal punto di vista strumentale mostra i Dream Theater in forma eccellente complice il bel duello chitarra/tastiera nella porzione strumentale.

Direi che i rimandi percepiti maggiormente sono quelli ad album come “Train Of Thought” e “Octavarium”; lo conferma anche l’ipnotica “Paralyzed” con una parte vocale più convincente.

Mike Mangini sale in cattedra su “Fall Into The Light” (lo si coglie specialmente nell’ascolto in cuffia) e spinge coi suoi vari cambi di ritmo una canzone che però sa troppo di già sentito; da sottolineare comunque il pathos di Petrucci nella parte centrale e finalmente un Jordan Rudess che timbra il cartellino/presenze.

Mai sentito il basso di John Myung così in primo piano come in “S2N”; il pezzo che non avrebbe sfigurato su “Systematic Chaos” è tra l’altro molto dinamico dopo che le due precedenti composizioni avevano un po’ anestetizzato l’ascoltatore. In “At Wit’s End” è bello il concatenarsi di partiture shred con accordi malinconici di tastiera, una buona interpretazione di LaBrie e uno spaccato centrale estremamente melodico: uno dei pezzi cardine di “Distance Over Time”.

“Pale Blue Dot” è il pezzo conclusivo della regular version e si segnala per una delle ritmiche più originali mai composte dalla band newyorkese e anche per l’immancabile mayhem strumentale a centro pezzo mentre la bonus track “Viper King” è un power hard rock potentissimo ma allo stesso tempo più “sfrontato” rispetto al resto del materiale… è quindi comprensibile perché sia stata scartata dalla tracklist ufficiale.

A conti fatti il solito buon album dei Dream Theater, molto diretto rispetto al suo predecessore ma al contempo non possiamo segnalare un qualcosa che i fan non possano attendersi… insomma tutto secondo previsione e forse proprio per la portata del gruppo in questione sorge un pizzico di delusione. Da rimarcare comunque l’ottima confezione dell’album tramite l’artwork di Hugh Syme e la già citata produzione dai suoni davvero possenti.

Voto recensore
7,5
Etichetta: Inside Out Music

Anno: 2019

Tracklist: 01. Untethered Angel 02. Paralyzed 03. Fall Into The Light 04. Barstool Warrior 05. Room 137 06. S2N 07. At Wit's End 08. Out Of Reach 09. Pale Blue Dot 10. Viper King
Sito Web: http://dreamtheater.net/

alberto.capettini

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Fan di rock pesante non esattamente di primo pelo, segue la scena sotto mentite spoglie (in realtà è un supereroe del sales department) dal lontano 1987; la quotidianità familiare e l’enogastronomia lo distraggono dalla sua dedizione quasi maniacale alla materia metal (dall’AOR al death). È uno dei “vecchi zii” della redazione ma l’entusiasmo rimane assolutamente immutato.

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