Draconicon – Recensione: Pestilence

Al debutto con l’etichetta svedese Inner Wound Recordings, i Draconicon sono una dark power metal band che prende ispirazione dai grandi maestri del genere, con varie e importanti influenze, passando dal metal estremo alla musica classica. Naturale quindi che alcune delle principali fonti di ispirazione siano Kamelot, Powerwolf ed Orden Ogan, qui con un elemento sinfonico ancora più accentuato dagli arrangiamenti orchestrali di Francesco Ferrini (Fleshgod Apocalypse). “Pestilence”, che segue a due anni di distanza l’esordio discografico avvenuto con “Beyond The Storm”, è stato composto ai tempi della pandemia e riflette dunque, tanto nei testi quanto nelle atmosfere, le forti incertezze e le difficoltà che in quel periodo si sono ulteriormente accentuate: se instabilità mentale, dolore e malinconia potevano già appartenere al mondo dark dipinto dal quintetto fronteggiato da Arkanfel, nel caso di “Pestilence” è un po’ come se la realtà avesse superato la fantasia, costringendo la formazione italiana ad un lavoro di descrizione e rielaborazione se possibile ancora più intimo e sofferto. Le orchestrazioni sono grandi protagoniste dell’apertura affidata a “Twisted Reflection”, un brano votato ad una eleganza barocca che ben si sposa con lo stile visivo dei Draconicon: dal punto di vista delle strofe non si segnala nulla di particolarmente trascinante, perché è soprattutto nel coro che la canzone realizza la fusione migliore e più riuscita dal punto di vista melodico. Un bilanciamento migliore contraddistingue la successiva “Heresy”, se non altro perché in questo caso le battute riservate alle strofe sono ridotte al minimo, a tutto vantaggio dei ritornelli, cantabili ed interpretati con personalità dalla voce di Arkanfel.

Particolarmente riuscite sono le occasioni nelle quali il cantante italiano può aggiungere dolcezza e melodia, come nella disneyana “Under The Weight Of Your Sins” e nella prima – e decisamente più convincente – parte di “Drowned”: l’asprezza poco necessaria che contraddistingue le parti più ruvide pare stringere come succo di limone gli slanci della band (“Faust”), perseguendo una durezza che sarà anche figlia dei tempi e risultato del contesto, ma che a mio parere non appartiene al DNA degli italiani, costringendoli ad evoluzioni dagli esiti altalenanti. Dispiace non poter dare credito alla performance del batterista, dal momento che per qualche motivo esso non compare nella line-up ufficiale diffusa dal gruppo: ed è un peccato perché il drumming non è solo implacabile come un sano power richiede, ma anche ricco di accenti ed ariose aperture che contribuiscono al suono dei Draconicon come – e forse più – degli inserti orchestrali. Il lavoro di Ferrini si concentra soprattutto su archi e cori, che troviamo molto presenti nel singolo “Thorns”, con una mancanza di equilibrio che potrebbe essere imputata in parte al genere naturalmente opulento interpretato ed in parte ad una scrittura professionale ma alla quale manca il guizzo decisivo, e forse un pizzico di affiatamento.

Pestilence” è un disco così ricco che la sua mancanza di focus diventa più un valore aggiunto, che non un vero e proprio difetto: il numero infinito delle sue suggestioni, che in pochi secondi comprendono orchestrazioni, cori, assoli, intermezzi e harsh vocals (vedi la grandiosa title-track), lo rendono un prodotto tecnicamente superbo al quale sembra però mancare una goccia di umano, di semplice, di essenziale e – in ultima analisi – di qualcosa di veramente longevo. Perfino gli assoli di chitarra sembrano perdersi per la strada (bello però quello di “Slumber Paralysis”), al punto che non sai se siano o meno presenti, o piuttosto sei tu che li hai persi di vista perché distratto da un resto che con l’essenza rarefatta e nebbiosa del dark ha poco a che fare. Con Kamelot, Powerwolf ed Orden Ogan i Draconicon condividono più la strada intrapresa che la maturità del risultato: se gli ingredienti delle dieci ricche ricette proposte da “Pestilence” sono infatti più o meno gli stessi utilizzati dalle affermate realtà straniere, compresa una produzione di primissimo piano, qui la capacità di presentare delle canzoni indipendenti dall’opulenza degli ori che le rivestono appare sì presente, ma non ancora del tutto espressa: se posso immaginare una “Easton Hope” degli Orden Ogan (2010) languida e struggente, anche quando suonata con una chitarra e due lattine di vernice al posto della batteria, lo stesso non posso ancora dire di nessuno dei grondanti brani presentati dai Draconicon.

Etichetta: Inner Wound Recordings

Anno: 2023

Tracklist: 01. Twisted Reflection 02. Heresy 03. Thorns 04. Pestilence 05. Theatre of Sorrow 06. Circus of the Dead 07. Drowned 08. Slumber Paralysis 09. Under the Weight of Your Sin 10. Faust
Sito Web: facebook.com/draconicon.official

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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