Dissonance Fest: Live Report dell’edizione 2023

Purtroppo, per un’emergenza lavorativa dell’ultimo minuto, mi trovo nella situazione in cui il mio giorno libero si trasforma in uno parzialmente “a sgobbo”, con il mio arrivo che slitta di diverse ore: riesco a raggiungere il palco alle 18:45 ascoltando solamente l’ultimo brano dei Ten.56. Come l’anno scorso non riesco a godere dell’esibizione, speriamo non siano loro a portarmi sfortuna.

Il Circolo Magnolia è quasi pieno, e mi sento di dire che sono sorpreso (positivamente) da questo risultato, anche perché il bill che è stato creato non era certo ben amalgamato e poteva risultare noioso per molti metallari che invece hanno risposto presente.

FULCI

Nella sfortuna però riesco a vedere l’intero set dei Fulci, che svolgono un concerto atipico: niente drum-machine, ma con un batterista in carne e ossa (di nome Edoardo) e infine niente schermi alle loro spalle. È la prima volta che posso gustarmeli dal vivo, la nomea che si sono creati in questi anni li precede ed ero piuttosto curioso di capirne le motivazioni dietro a quella che secondo me non è nient’altro che una proposta old-school death metal anni ‘80. Suoni ottimi e risposta del pubblico super accogliente aiutano i nostri a entrare subito nel clima del festival, che eseguono una setlist incentrata solo sui loro pezzi più famosi. Chiaro che, senza il loro classico set dal vivo, qualcosa si perde e in soldoni non è altro che death metal. Suonato bene, con carisma ma è death metal. Nulla togliere e senza offesa sia chiaro, ma probabilmente non era il luogo ideale per capire fino in fondo il vero potenziale dei Fulci. Comunque sia, mezz’ora godibile di death metal floridiano Made In Italy.

Setlist:

  1. Glass
  2. Tomb
  3. Apocalypse Zombie
  4. Lonely Hearts
  5. Matul Tribal Cult
  6. Voodoo Gore Ritual
  7. Tropical Sun
  8. Among the Walking Dead
  9. Legion of the Resurrected
  10. Nightmare
  11. Eye Full Of Maggots

DESTRAGE

Con i Fulci si chiude la giornata del Palco B e ci si sposta in massa su quello principale per poter ascoltare un’altra super band italiana, i Destrage. Ormai divenuti un pilastro della scena tricolore e non, hanno raccolto a sé un fortissimo seguito e nel momento in cui salgono sul palco vengono subito acclamati. Giocando in casa per loro è facile ottenere riscontro, infatti ci mettono davvero un secondo a far smuovere i presenti sotto palco ma, a onor del vero, a me non sono mai piaciuti fino in fondo. Li ho sempre ritenuti troppo pop, senza mai osare quel poco di più se non in pochissimi brani.

Posso però ammettere che sul palco si sanno muovere perfettamente, senza sbavature e soprattutto senza respiro. Ma ho come la sensazione che il tutto sia troppo frettoloso, infatti, chiedendo agli amici arrivati al festival prima di me, mi confermano che durante la giornata si è creato un pochino di ritardo, e che questo si riversa di conseguenza su tutte le esibizioni a cascata. Oggettivamente è palpabile come i Destrage non stiano suonando rilassati, ma con l’ansia di portarsi a casa la serata suonando più canzoni possibili. Detto ciò, la loro proposta non rientra nel mio genere preferito, sicuramente la loro esibizione risulta sufficiente ma ci si poteva aspettare qualcosa di più.

Setlist:

  1. Double Yeah
  2. Don’t Stare At The Edge
  3. Destroy Create Transform Sublimate
  4. Symphony of the Ego
  5. The Chosen One
  6. Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It
  7. Italian Boi
  8. Purania

SOEN

Arriviamo al primo tasto dolente della serata, gli svedesi Soen, con il loro prog/heavy metal che non c’entra assolutamente nulla con tutto quanto ascoltato fin da questo pomeriggio. Scelta super azzardata, che ha portato buona parte dei presenti (almeno da quanto riscontrato facendo un giro tra gli spettatori), a guardare il cellulare, mettersi in coda per mangiare e bere, ma soprattutto a snobbare la proposta della band. Joel al microfono era cosciente di questo e, nonostante i suoi sforzi di attirare un minimo di attenzione, la risposta del pubblico è stata fredda e intermittente. L’esibizione in sé è stata ottima, ma considero il prog un genere che stona troppo con quello che rappresenta il Dissonance Fest. Rimango dubbioso in attesa dei Meshuggah, mentre alle mie spalle alcuni spettatori durante l’esecuzione di “Antagonist” chiedono gentilmente ad alta voce di uscire dal palco. Di sicuro non una bella conclusione. 

Setlist:

01- Monarch

02- Martyrs

03- Savia

04- Modesty

05- Antagonist

06- Lotus

MESHUGGAH

Questo è il secondo punto dolente della serata, quello che fa più male. Ma andiamo con ordine, ovvero partiamo dal momento in cui si spengono le luci alle 22:02 per una lunga introduzione fino alle note di “Broken Corg”, che vede i nostri in controluce davanti alle loro rispettive strumentazioni. Come sempre i giochi di luce sono uno degli elementi fondamentali e più suggestivi dei Meshuggah, che aumentano il coinvolgimento col pubblico. Queste luci, a ritmo perfetto con la musica, ci accompagnano alla seconda traccia, ovvero “Rational Gaze”. Probabilmente insieme a “Bleed” (spoiler: non la suoneranno, purtroppo) è uno dei loro brani più iconici, ma prima di devastarci col riff spezza ossa siamo nuovamente in balìa del buio. Il palco si trasforma e si apre lasciando spazio ai Meshuggah per potersi muovere quel minimo indispensabile per non essere delle belle statuine sullo stage, anche perché immagino che la concentrazione per suonare questi riff sia talmente importante che non esista margine di errore. 

I suoni sono perfetti ma sempre bassi, come tutta la giornata di oggi; non so darmi il motivo dei volumi un po’ sottodimensionati ma tant’è, si gode comunque di un mixing perfetto in cui ogni strumento ha il suo posto nella scena sonora. 

Seguono due brani recenti come “Ligature Marks” e “Born In Dissonance”, cui segue nuovamente il buio e una lunga introduzione strumentale per dare il miglior benvenuto al capitolo della serata dedicato a “Catch 33“, con le due classicissime “In Death” e “Is Death“, che mandano completamente in delirio il pubblico. Tale euforia viene prolungata fino al tris finale suonato senza respiro: “The Abysmal Eye”, “Demiurge” e la definitiva “Future Breed Machine”. Dopodiché il silenzio. 56 minuti, con un intro che è cominciato alle 22:02 e si è concluso alle 23:01. 56 minuti di musica, un saluto freddo e rapido dal palco per un totale di 55€ di biglietto. Uno dei concerti più brevi della mia vita, secondo solo a quello dei Coldplay all’Heineken Jammin Festival del 2011, in cui suonarono da headliner per 50 minuti scarsi. 56 minuti di spettacolo, meno rispetto allo show tenuto il giorno prima al Rock Am Ring a metà pomeriggio, otto canzoni e poi il nulla. Passino un bill non del tutto coerente con l’headliner, passi il volume generale dal palco A non proprio alto, ma il concerto degli svedesi è stato davvero troppo breve e mi chiedo quindi che senso abbia suonare per così poco come band conclusiva di un festival. 

Confrontandomi con altre persone, nessuno mi ha detto che era lì per il Dissonance, ma che erano lì per i Meshuggah e tutti sono rimasti comprensibilmente stupefatti di quanto visto e ascoltato. Si vocifera che i Meshuggah siano arrivati con quattro ore di ritardo e che non abbiano fatto nemmeno il soundcheck, ma sono frivolezze se si considera il calibro della band. 

Il mio ritorno a casa si è svolto in completo silenzio, deluso. Tutto bello il resto per carità; organizzazione, birra e cibo ma parliamoci chiaro perché è sempre stato così l’estivo del Magnolia, non è un’esclusiva che ha creato Versus Music Agency. Ma io pago per godermi almeno un’ora e mezza di esibizione, non per mangiarmi una margherita a 5euro o per poter avere la scelta su quattro birre differenti, che comunque , ripeto, sono sempre stati gli optional offerti dal Circolo Magnolia.

Se l’anno scorso ho elogiato la tenacia e la tempra di Brembati per aver portato a termine un super evento nonostante la tempesta, questa volta non mi sento in grado di promuoverlo. Molto ma molto a malincuore scrivo questo report, spero si possa rimettere sui binari giusti l’anno prossimo.

Giusto per menzione e dover di cronaca: il 6 giugno i Meshuggah sono stati headliner a Lubjana supportati dai Behemoth e hanno eseguito un set composto da tredici canzoni, quindi proprio non capisco la motivazione e la scelta fatta per la scaletta di Milano. 

Setlist:

01- Broken Corg

02- Rational Gaze

03- Ligature Marks

04- Born In Dissonance

05- In Death – Is Life

06- In Death – Is Death

07- The Abysmal Eye

08- Demiurge

09- Future Breed Machine

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