Tanti gruppi che possono oramai fregiarsi della definizione di “classici” o “storici” che dir si voglia, rientranti quindi nel novero di quelli che nella loro carriera hanno fatto qualcosa di importante, sia mainstream che di culto, hanno in questi ultimi anni la tendenza a ri registrare con le formazioni attuali e ovviamente le tecnologie a disposizione al giorno d’oggi, i loro lavori più significativi. I N.W.O.B.H.M. heroes Diamond Head non sfuggono a questa regola, e per festeggiare i 40 anni del loro leggendario debutto “Lightning To The Nations” ne pubblicano una nuova versione registrata con le modalità di cui sopra, con una band che rispetto a 4 decenni fa vede il solo chitarrista solista Brian Tatler come unico membro fondatore rimasto a guidarla.
La prima cosa che c’è da dire è che i brani sono invecchiati assai bene, splendidi erano allora, splendidi restano ora in queste nuove versioni, peraltro decisamente fedeli alle originali. Riascoltare capolavori senza tempo come la title track, “The Princess”, le arcinote “Am I Evil?”, “It’s Electric” ed “Helpless”, ma anche perle minori quali “Sweet And Innocent” fa semplicemente rendere conto di quanto siano pezzi che non hanno perso un grammo della loro freschezza ed originalità, segno di quanto i Diamond Head siano stati unici e avanzati come concezione musicale, pur non avendo raccolto abbastanza in termini di un successo che sarebbe stato quanto mai meritato per una band di tale spessore. I brani sono riproposti in versioni, si diceva, che ricalcano per bene le originali, con un suono ovviamente più aggiornato e pompato ed arrangiamenti più metal (ma neanche più di tanto), e con la voce di Rasmus Andersen che reinterpreta con grande dignità le parti di un cantante inarrivabile quale è stato Sean Harris.
In chiusura del disco ci sono quattro cover, riviste (e sostanzialmente ben riuscite) di Metallica, Led Zeppelin, Judas Priest e Deep Purple, un po’ come dire da dove viene e che sviluppi ha avuto la musica dei Diamond Head.
Non sappiamo quanto senso abbiano queste operazioni, pur decisamente ben riuscite come in questo caso. Se dovessimo consigliare a chi non conosce la band quale versione è preferibile fra questa e l’originale, non esiteremmo per quella di 40 anni fa, con la sua magia magari ruvida, ma proiettata verso un mondo da conquistare e sorprendentemente originale. La cosa buona di questa rivisitazione è che un significato in fin dei conti ce l’ha: dimostra quanto sia stato valido e influente quello storico debutto e quanto sopraffina sia la scrittura di brani che non possono non sorprendere ed emozionare ora come allora.