Recensione: Outlaws ‘Til The End, vol. 1

Inoltre, non dimentichiamo che il Blues e il Country più selvaggio sono la base del Rock’n’roll; nella mia testa questi brani sono sempre stati Heavy!

 

Basterebbe questa dichiarazione rilasciata da Dez Fafara, mastermind dei Devildriver, per cogliere appieno la natura di “Outlaws ‘Til The End, vol. 1”, nuovo disco della sua belligerante creatura uscito sotto l’egida di Napalm Records: una raccolta di dodici brani della tradizione Country rivisitati in perfetto Devildriver-style. Sulla scia di quanto già fatto dai Metallica nel 1998 con “Garage Inc.”, ma anche dagli Slayer, dai Sepultura, dagli Iced Earth e da tanti altri ancora, il combo americano decide di tornare indietro nel tempo, esplorando territori inediti e offrendo la propria versione di canzoni che hanno segnato la formazione e la crescita di Fafara.

Per l’occasione, diversi sono gli ospiti che si uniscono ai Devildriver chiamati a rendere unica quest’esperienza: Randy Blythe e Mark Morton (Lamb Of God), i Wednesday 13, Brock Lindow (36 Crazyfists), Burton C. Bell (Fear Factory), Lee Ving (Fear); a questi esponenti della musica estrema si unisce John Carter Cash, figlio del grande Johnny Cash, che presta la sua voce sulla traccia “Ghost Riders In The Sky”.

Nota l’idea primigenia del platter e conosciuto il cast di comprimari che prestano le proprie forze allo strambo progetto dei Devildriver, passiamo ad analizzare gli oltre quarantacinque minuti di musica offerta da nostri. Partiamo subito dicendo che, nonostante le buone intenzioni e la professionalità di Fafara e soci, il risultato globale è buono ma non raggiunge sempre il livello sperato. Accanto a brani dirompenti ed esplosivi come l’openerCountry Heroes” o la successiva “Whiskey River”, infatti, troviamo interpretazioni sotto tono e poco centrate come la già citata “Ghost Rider In The Sky“, “A Country Boy Can Survive”  o “A Thousand Miles From Nowhere“, in cui lo spettro melodico originale perde la sua efficacia nell’adattamento in chiave Groove Metal.

Sebbene, dunque, ci sia qualche calo non possiamo non restare impressionati dal piglio cattivo di “Outlaw Man”, dalla terremotante “I’m The Only Hell Mama Ever Raised”, o dalle tinte orrorifiche di “If Drinkin’ Don’t Kill Me”. Le improvvise accelerazioni e le  ritmiche saltellanti di “The Man Comes Around” aprono la seconda parte del disco in cui si segnalano anche “Dad’s Gonna Kill Me” – con i suoi riff circolari di grande impatto – e la conclusiva “The Ride”, dal rifframa tagliente e serrato.

Che si tratti di una mera operazione commerciale figlia di un calo d’ispirazione o di un genuino omaggio alla musica Country, poco importa. Ascoltando “Outlaws ‘Til The End, vol. 1”, la percezione è quella di trovarsi di fronte a un’onesta raccolta di brani tra cui alcuni non riescono a mantenere vivo il fuoco primigenio. Il risultato resta comunque apprezzabile sia per la voglia di osare che per l’approccio, raggiungendo diversi ottimi picchi qualitativi e offrendo uno spaccato diverso sui Devildriver, una band che da oltre quindici anni continua a portare avanti la propria idea di Metal.

 

Pasquale Gennarelli

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"L'arte per amore dell'arte". La passione che brucia dentro il suo cuore ad animare la vita di questo fumetallaro. Come un moderno Ulisse è curioso e temerario, si muove tra le varie forme di comunicazione e non sfugge al confronto. Scrive di Metal, di Fumetto, di Arte, Cinema e Videogame. Ah, è inutile che la cerchiate, la Kryptonite non ha alcun effetto su di lui.

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