Recensione: The Oath Of An Iron Ritual

I Desaster sono una di quelle band da cui si sa sempre cosa aspettarsi, ma che proprio per questo non deludono mai i loro i fan. Sono passati quattro anni dal disco precedente, ma “The Oath Of An Iron Ritual” ci riconsegna una formazione in buona forma e sempre latrice di uno stile che sta in bel equilibrio tra thrash e black metal, con quella punta di vecchio death metal che non guasta mai.

Nove canzoni più intro sono quanto ci propongono a questo giro, iniziando con un brano cattivo, ma sempre capace di piccole infiltrazioni melodiche come “Proclamation In Shadows”, per poi spaziare dalla veloce (diciamo un tributo al thrash tedesco) “The Cleric’s Arcanum”, fino ad un brano lungo e armonicamente vario come “Haunting Siren”, che riesce anche a far trapelare quella punto di melodia che rimanda agli albori della scena nordica del death/black.

Ora, chiunque abbia seguito la band durante la carriera sa benissimo che sono le stesse considerazioni che si possono fare per parecchie delle uscite del gruppo, e certamente per tutte le ultime. Quello che però la mera descrizione non può spiegare è la passione sincera che i Desaster riescono a trasmettere con la propria musica; ed in fondo questo a far la differenza.

Brani come quelli sopra citati, ma anche la incalzante“End Of Tyranny, la speed “The Oath Of An Iron Ritual” (molto vicina al vecchio metal anni ottanta) e, la ancora una volta bella lunga, “At The Eclipse Of Blades”, capace di un incipit lento e un andamento generale più cadenzato della norma, che sfocia in una porzione vicina addirittura al folk-metal, non sono forse nulla di speciale a livello stilistico, ma rimangono canzoni capaci di coinvolgere e trascinare. Non saranno dei geniali compositori ed esecutori, ma se amate il metal veloce, potente e sporco il giusto, i Desaster lo sanno fare davvero bene, andando sempre dritti al nocciolo della questione. Horns Up!

Desaster - The Oath Of An Iron Ritual

Riccardo Manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

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