Recensione: Die Aesthetik Der Herrschafts-freiheit

Prima di illustrare la nuova, imponente fatica dei Rome di Jèrome Reuter, iniziamo con una doverosa premessa. “Die Aesthetik Der Herrschafts-freiheit” è stato licenziato come cofanetto per collezionisti nel mese di Novembre 2011, un monumento comprensivo di tre libri di fotografie (ciascuno di 40 pagine) perché l’immagine accompagnasse l’ascolto e una t-shirt della band. Il prodotto, stampato in sole 999 copie è andato rapidamente esaurito, ma per fortuna Trisol ha nuovamente messo a disposizione l’opera dividendola in tre dischi separati, ognuno dei quali è tuttavia parte imprescindibile del grandioso concept. I tre capitoli presentano infatti delle differenze a livello lirico e sonoro, ma nonostante questo sono dei capitoli strettamente legati al lavoro di ricerca svolto dall’artista lussemburghese. La troppa faciloneria che distingue la massa non faticherà ad associare alla nuova opera di Reuter gli ormai tristi legami con il nazionalismo, spesso suggerito dall’estetica futurista delle immagini, ma il concept dell’album, di natura socio-politica-economica, guarda alla tematica della rivolta nella storia, senza prendere posizione sul cuntinuum destra-sinistra e facendo proprio il pensiero di Thoms Mann, Pablo Neruda, Bertoit Brecht, toccando la natura dell’oltreuomo nietzscheiano. Venendo all’ascolto, possiamo analizzare i tre album come episodi distinti (ma inseparabili l’uno dall’altro per una corretta comprensione dell’opera).

Aufbruch: A Cross Of Wheat – Leggiadro, carezzevole e profondo. “A Cross Of Wheat” rappresenta la scintilla che fa scoccare nell’uomo la necessità della ribellione e Reuter lo ottiene attraverso un neofolk straordinariamente delicato, ma ricco di spunti epici. Ne sono un esempio la magnificenza acustica e la carica emozionale di “The Spanish Drummer”, “To Teach Obedience” e “The Merchant Fleet”, che si caricano di lievi contaminazioni industriali e martial ambient, ideali a dare loro una natura cangiante. Rispetto a noti sforzi come “Nos Chants Perdus”, l’impressione è quella di avere a che fare con un lavoro più essenziale a livello tecnico e sonoro, ma incredibilmente efficace nella sua semplicità. “A Cross Of Wheat” riesce laddove la maggior parte sbaglia: crea vere emozioni, commuove e coinvolge.

Aufruhr: A Cross Of Fire – La rivoluzione è cominciata. La cause che portano alla rivolta, sostenute da differenti correnti filosofiche o da adattamenti delle stesse, si spandono a macchia d’olio in Europa. Il fermento che suscita entusiasmo ma anche inevitabile violenza, è reso da ricami più complessi e intimisti, sonoramente più quadrati e marziali rispetto al primo capitolo. Ne sono un esempio perfetto “The Brute Engine” e “To Be Governed”, che nel suo oscuro rigore porta comprensibilmente a un paragone con i Death In June. Rispetto al primo capitolo, “A Cross Of Fire” appare più severo, qui Reuter lascia da parte l’immediatezza per fare leva sulle delle sonorità più intense.

Aufgabe: A Cross Of Flowers – Il cerchio si chiude. “A Cross Of Flowers” tratta di un possibile ordine economico fondato sulla libertà di ogni individuo, un ordine che premia non solo l’altruismo ma anche la dedizione all’estetica morale. Dopo la durezza e le sperimentazioni industrial del crudo incipit “The Conquest Of Violence”, il disco si assesta su parametri più delicati, riprendendo in parte il sentiero percorso dal primo capitolo e trovando i suoi momenti migliori in “All For Naught” e “Years Of Abalone”.

Un lavoro eccellente, un grande sforzo dove l’indissolubile legame musica-liriche (che per lo meno dovrebbe essere tale, ma così spesso è bistrattato) si fonde in un unicum armonioso.

Andrea Sacchi

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Poser di professione, è in realtà un darkettone che nel tempo libero ascolta black metal, doom e gothic, i generi che recensisce su Metallus. Non essendo molto trve, adora ballare la new wave e andare al mare. Ha un debole per la piadina crudo e squacquerone, è rimasto fermo ai 16-bit e preferisce di gran lunga il vinile al digitale.

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