Deep Purple: Live Report e foto della data di Parma

Nuova calata in Italia dei Deep Purple per la prima di tre date, dopo il concerto milanese dello scorso ottobre (qui il live report ) nella bella ambientazione del parco Ducale, con gran parte dei posti a sedere (perché l’evento era evidentemente concepito per stare seduti) occupati. L’afflusso di un pubblico di un po’ tutte le età è stato quindi notevole.

PLANETHARD

I milanesi Planethard hanno alle loro spalle diversi palchi importanti, ma l’onore di aprire le data italiane dei Purple è una di quelle occasioni che non vanno sprecate. E la band si comporta nel migliore dei modi, sfoggiando buona parte del proprio repertorio recente, più qualche estratto dal passato, in una mezz’ora che scorre via frenetica. La band ha ormai una formazione consolidata, a due chitarre, porta sul palco sia gli estratti dall’ultimo album, “Equilibrium” (con “A King” e “Fading Away“, per esempio), sia brani che appartengono al passato, come “Kill Me But First Kiss Me“, con cui si risale addirittura al primo album pubblicato dalla formazione milanese. Un’attenzione particolare viene riservata a “United We Stand“, brano pubblicato inizialmente come singolo, dalla valenza sociale importante, in virtù di un testo che inneggia al valore dell’unità fra le persone. Un’esibizione breve ma intensa, apprezzata dal pubblico.

DEEP PURPLE

Il problema di parlare di un concerto del genere, oltretutto con la scaletta quasi identica di quelli dell’anno scorso, consiste nel cercare di non essere ripetitivi e di avere qualcosa di interessante da aggiungere. È anche vero, d’altronde, che un concerto dei Deep Purple è sempre un’esperienza a sé stante, lo stesso brano proposto un giorno non sarà mai la copia carta carbone di quello successivo. Ed è proprio questa la grande forza di una band che ad ogni esibizione riesce a rimettersi in gioco pur in schemi consolidati e ben rodati. Ma non c’è niente da fare, i colpi di rullante di Ian Paice che introducono “Highway Star” riescono a scuotere ogni volta gli ascoltatori, il grande impatto e la straordinaria coesione dei musicisti rapiscono e coinvolgono già dalle prime note. E poi, dicevamo, lo spirito di mettere sempre qualcosa di improvvisato, non studiato a tavolino, come le parti soliste della ripresa di “Pictures Of Home”, l’integrazione così ben riuscita fra i classici del repertorio e i brani più recenti (la splendida accoppiata costituita da “No Need To Shout” e “Uncommon Man”), un Ian Gillan in ottima forma fin dall’inizio che ha il suo apice nella sentitissima interpretazione di “When a Blind Man Cries”. Sì, questa band, il cui nucleo storico è più vicino agli 80 anni che ai 70, riesce sempre a dare tutto in concerto, senza tradire gli acciacchi dell’età, dando a chiunque lezioni su come si fanno dei concerti hard rock. Da sottolineare altresì la grande prova del “ragazzino” della band, il nuovo innesto, alla chitarra, quel Simon Mc Bride, che a ogni data risulta essere sempre più padrone della situazione: un grandissimo suono ormai perfettamente integrato in quello porpora, e poi tecnica, precisione, gusto e personalità. Senza fare inutili paragoni con chi lo ha preceduto, che risulterebbero oziosi e inconcludenti, possiamo affermare che, per l’attuale dimensione della band, è il chitarrista ideale. I grandi classici si susseguono, titoli epocali come ”Into The Fire”, “Lazy”, “Perfect Strangers”, “Space Truckin”, il primo finale col la “solita” “Smoke On The Water” esalta il pubblico, i padri come i figli (e ci verrebbe da dire anche i nipoti), dimostrando come la grande musica sia senza tempo. Non sappiamo quante volte ancora siamo costretti ad affermare che Don Airey (nel suo assolo ha citato il “Nessun Dorma”, in barba alla città ospitante, patria di Giuseppe Verdi!) sia probabilmente il più grande tastierista hard rock vivente, che Ian Paice sia un caposcuola con uno stile unico e inimitabile, che Roger Glover sia l’elemento che con la proverbiale solidità del suo basso, tiene coeso il tutto. Però è il risultato di quanto viene fuori dal palco che è lì a dimostrarlo. Avanti con i bis, da anni ormai “Hush” (che scambio pazzesco di assoli fra tastiere e chitarra!) e l’assolo di basso che introduce una “Black Night” in cui Mc Bride arriva a sperimentare inedite (ameno per la band) sonorità con la sua chitarra. Al netto di una scaletta che in effetti potrebbe un po’ variare, tanti sono i capolavori che per forza di cose vengono esclusi, i Deep Purple continuano ad avere nei live la loro forza instancabile, che riescono a trasmettere a un pubblico che ne esce sempre entusiasta. Al netto di chi li crede bolliti solamente guardando l’anagrafe, ma che in concerto magari non li ha mai visti (gente a cui andrebbe tolto d’ufficio l’accesso ai social network), sono la solita, si vorrebbe dire eterna, garanzia di live straordinari, come dimostrato dalla data parmense. Purtroppo eterno non è nulla, ma intanto noi ci godiamo un momento che va avanti da 55 anni e che per fortuna non ne vuole sapere di smettere.

Setlist:

1. Highway Star

2. Pictures of Home

3. No Need to Shout

4. Into the Fire

5. Guitar Solo

6. Uncommon Man

7. Lazy

8. When a Blind Man Cries

9. Anya

10. Keyboard Solo

11. Perfect Strangers

12. Space Truckin’

13. Smoke on the Water

14. Hush

15. Bass Solo

16. Black Night

anna.minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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