Sono un grande esperto dei Death SS, li seguo con attenzione da anni e possiedo naturalmente tutti i loro dischi. Mi sarebbe piaciuto cominciare così questa recensione, ma la verità è ben più amara: ascoltando la nostra playlist Metallify mi sono imbattuto in “Zora” per caso e mi sono chiesto, quasi compiaciuto della mia inescusabile ignoranza, chi sono questi? Ah, già, i Death SS. Quelli che in gioventù tutti associavano più all’occultismo che alla loro musica – che eravamo pischelli e la cosa ci faceva un po’ paura, anche se a me sembrava più che altro una scusa per rimorchiare – e che il mio amico Edo mi aveva scaramanticamente consigliato di non ascoltare, attento Marco!, altrimenti i miei voti in matematica e fisica avrebbero raggiunto nuove ed inesplorate profondità. Se a questo aggiungiamo che all’epoca quello di essere italians era un peccato originale che molti non perdonavano a chi voleva fare del metal una professione vera, con la pensione e tutto, le probabilità che io potessi diventare un adepto si azzerarono. “Zora” dunque non è solo un’eroina dei fumetti italiani del filone erotico/horror, ma anche la canzone che mi ha fatto avvicinare per la prima volta a questa band: taccuino alla mano, ho così intrapreso un viaggio alla scoperta dell’intera discografia della realtà formata nel 1977 da Steve Sylvester a Pesaro, città nota alle cronache per l’abnorme consumo di maionese. Dopo aver visionato interviste e speciali vari su Youtube, noleggiato “Zora La Vampira” su Infinity (2000) ed assegnato un personalissimo voto di riferimento a ciascuna delle passate produzioni in studio, ho potuto capire qualcosa di più dei Death SS e del loro percorso. Il primo dato è che il costante richiamo al mondo dell’occulto, per quanto autentico, ha finito col limitare la diffusione di una quantità notevole di ottima musica: se ci si fosse proposti prima di tutto come una realtà votata ad un heavy in movimento, la voglia di darci un ascolto senza impegno sarebbe stata più diffusa. In seconda battuta, tutte le uscite sono caratterizzate da una voglia di sperimentare per rimanere al passo con i tempi: benchè si avverta un sano provincialismo, che ad ogni uscita costringe Steve ad inseguire le sonorità alla moda piuttosto che anticiparle, la voglia di esserci e produrre qualcosa di significativo – viaggiando ed affidandosi a produttori esteri, ad esempio – è presente ed encomiabile. Da ultimo, si avverte come i diversi musicisti che Sylvester ha coinvolto negli anni nel suo progetto – mascherandoli col face painting e cambiandoli quando necessario, alla Tobias Forge – abbiano pesantemente influenzato le sorti di ogni album, disegnando un grafico di alti e bassi che dopo tanti anni e ricerche meritava, se non altro per l’incredibile consistenza dimostrata, di giungere ad una felice sintesi.
“X”, o “Ten”, sembra fin dai primi ascolti il disco che è finalmente riuscito nell’intento di mettere tutti d’accordo, senza rinnegare ciò che fu. Il disco della piena maturità artistica, il disco della consapevolezza, il disco della necessaria pace con se stessi e quello che, focalizzandosi sulla musica e sulla magia terrena delle sue note, finisce per amplificarne la portata e dare una forma sexy alla quadratura del cerchio. Gran parte del bello sgrassato di “Ten” sta tutto nella decisione di fare poche cose e bene, ripescando dal passato in un modo che appare più divertito che auto-referenziale e dando vita ad un disco che la stessa Lucifer Rising Records cataloga, con un’immediatezza ingenua e perfetta, come semplice rock. A buon intenditor poche parole, devono aver pensato. La relativa pesantezza della traccia di apertura (“The Black Plague”) sembra avere il solo scopo di fungere da raccordo tra l’heavy più tradizionale proposto agli esordi ed il nuovo corso che vede nel già citato singolo “Zora” una fulgida, accattivante espressione: accompagnato da un video ironico e pepato, che mi ha commosso per la totale noncuranza con la quale fa sbarcare tette e culi su Youtube, il brano è immediato, misurato, incalzante e ben lontano da quel carattere commerciale che alcuni vi possono aver intravisto. Arrangiato con una sensibilità realmente cinematografica, pur senza strombazzarlo ai quattro venti, “Zora” mi ha fatto conoscere i Death SS dopo trent’anni che ascolto metal, e questo probabilmente basterà a farmela amare e canticchiare per sempre. “Ten” ha poi il pregio di mantenere un approccio asciutto ed allo stesso tempo opulento, grazie alla produzione impeccabile di Federico Pedichini, pur variando registro: “Under Satan’s Sun” rinuncia in fretta alle sue curiosità moderniste per dipingere un cielo grigio e pesante sopra alle nostre teste, su una tela che mi ha ricordato quella usata dai Judas Priest per “Blood Red Skies” (1988). Gli accenti in levare ed il coro femminile gli donano però una leggerezza tutta italiana che l’avvicina, anche con una punta di orgoglio, alla nostra sensibilità. Stesso discorso per “Heretics”, un gospel semi-acustico talmente riuscito che non ha bisogno di altro, se non di un ritmato battito di mani nel quale verrete con ogni probabilità coinvolti, per legittimare il proprio posto all’interno della scaletta.
Nonostante gli articoli track by track non siano tra i miei preferiti, è impossibile non soffermarsi sul trittico formato da “The Rebel God”, “The Temple Of The Rain” e “Ride The Dragon”. La prima sboccia in un coro che definire fantastico è di una banalità sconcertante ed inadatta, se solo mi fosse venuto un aggettivo migliore. Travolgente, liberatorio, arioso, esplosivo migliorano un poco il tiro… ma forse bisogna cantarla – abbracciati come fossimo a Woodstock nel ’69 – per apprezzarne davvero gli effetti benefici ed energizzanti. “The Temple Of The Rain”, anch’essa promossa con un secondo bel video sempre realizzato da Andrea Falaschi dei Deathless Legacy, è un mid-tempo di straordinaria intensità, nel quale ritornello, cori femminili, assoli di chitarra e drumming ispirato si fondono alla perfezione, iniettando valore in ogni battuta e marcando un deciso passo avanti rispetto ad alcuni passaggi a vuoto che ho potuto avvertire negli album precedenti. Immaginando la composizione di tutti questi elementi alle soglie del duemilaeventidue diresti che si tratti di una pacchianata di oltre sei minuti, e invece quattro abbondanti decadi di carriera sono servite ad amalgamare il tutto in un insieme che, lo senti subito, funziona bene dal basso fangoso del suo kilometro zero. “Ride The Dragon” chiude questa parentesi con un bel power veloce, piazzato lì giusto per ricordarti la facilità con la quale questa line-up può passare da un registro all’altro senza problemi, senza indecisioni e senza sbandamenti, complice una prestazione che appare piacevolmente corale. “Ten” non rinnega nulla e “Suspiria” ne è una ulteriore dimostrazione: basterebbe il titolo dell’omonimo film horror del 1977 a suggellare il rimando, se non fosse che la traccia beneficia anche di un arrangiamento sinfonico e discreto, caratteristica che mi fa davvero pensare all’inizio di un nuovo corso votato al pragmatismo ed all’intrattenimento nella sua accezione più nobile per la formazione italiana.
“Ten” divora letteralmente i cinquanta minuti a sua disposizione con una tracklist varia, eppure coerente – grazie ad un insieme maturo di scelte di fondo e piccoli tocchi estemporanei – che riassume un percorso iniziato tanti anni fa in una piccola città delle Marche. A volerci vedere a tutti i costi qualcosa di magico, si potrebbe dire che con questa nuova uscita le stelle si sono finalmente allineate, complice quella subentrata saggezza che l’età e le ferite portano in dote. Il mix di “X” propone una visione personale aperta e ricettiva, superando quel meccanismo (probabilmente) difensivo che in passato aveva portato, almeno a giudicare dagli ascolti, ad una concentrazione su se stessi e sulla propria voglia di affermazione. “Ten” è metal moderno per le masse, un misto italiano di sensibilità nordiche intenso dove serve (“The World Is Doomed”), abile nella sottrazione e capace di farsi pure una risata senza per questo perdere in credibilità, in scopo, in visione. E’ l’elemento circolare che dà il senso a tanto del lavoro fatto, è il riconoscimento di uno status che merita di uscire dall’esilio al quale talvolta si autocostringe (vedi la lunga ed articolata spiegazione del significato esoterico del numero 10, quando per il resto del mondo bastava dire che è il decimo album e insomma noi speriamo che vi piaccia), è un’edizione con CD e fumetto venduta ad un prezzo onesto, è una bella e luminosa storia di piglio e testardaggine che qualcuno o qualcosa ha piazzato sul binario giusto. Quello con direzione disco dell’anno.
Etichetta: Lucifer Rising Records Anno: 2021 Tracklist: 01. The Black Plague 02. Zora 03. Under Satan's Sun 04. The Rebel God 05. Temple Of The Rain 06. Ride The Dragon 07. Suspiria 08. Heretics 09. The World Is Doomed 10. Lucifer Sito Web: facebook.com/DeathSSofficial |