I Porcupine Tree si sono dimostrati essere un gruppo di confine.
La carriera degli Inglesi li ha infatti portati ad essere conosciuti e apprezzati da un pubblico variegato, di diversa età e diversi gusti musicali (rock, prog rock e metal). Causa o conseguenza (poco ci interessa ai fini della valutazione dell’operato di Wilson e compagni), l’evoluzione sonora ha proceduto il suo cammino, raggiungendo elevate vette con il precedente ‘In Absentia’, vera e propria sintesi del personale e inconfondibile PT-sound (rock che si contamina di psichedelia di pink floydiana memoria, strutture prog, irruzioni metalliche decisamente groovy, melodie pop, arrangiamenti curati e tecnica di altissimo livello).
‘Deadwing’, nono album da studio della band, si presenta come ulteriore passo in tale direzione, recuperando però un approccio più lineare, più rock e continuo rispetto ad ‘In Absentia’. Qua e là riaffiorano infatti in modo più consistente le dilatazioni di ‘The Sky Moves Sideways’ (senza però esagerare), le strutture più rock di ‘Signify’ e le melodie pop più lineari di ‘Lightbulb Sun’. Fate attenzione però: linearità in questo caso non significa maggior semplicità o facilità di assorbimento. Diverse sono le sfaccettature dell’album (provare il trio ‘Shallow’, ‘Lazarus’, ‘Halo’ per credere) e sicuramente solo ascolto dopo ascolto sarà possibile apprezzare al meglio le qualità dei brani in questione. Va detto però che chi è rimasto entusiasta dal precedente album potrebbe essere un po’ deluso da questo nuovo capitolo della storia Porcupine Tree. Il nostro consiglio è comunque quello di non esprimere prematuri giudizi, ma di lasciarsi trasportare con calma dalle canzoni, che non mancheranno di regalarvi adeguate emozioni.
Emanuele Marchioni
Il nuovo disco degli inglesi Porcupine Tree, ‘Deadwing’, è stato aspettato a lungo e con ansia. Inevitabile dopo lo splendido ‘In Absentia’, album frutto della amicizia artistica con gli Opeth. Possiamo partire proprio da ‘In Absentia’ nella analisi di questo ‘Deadwing’ che non è altro che la sua continuazione stilistica. Ciò si evince innanzitutto dalla “pesantezza” di fondo nelle scelte stilistiche e sonore. La stessa titletrack inizia, come nel precedente ‘In Absentia’, con uno spesso riff di chitarra per poi aprirsi a momenti maggiormente psichedelici arricchiti da un sapiente uso delle tastiere. La seguente ‘Shallow’ si inserisce coerentemente nella struttura dell’album richiamando palesemente i Dream Theater di ‘Train Of Thought’. La successiva ‘Lazarus’ è la tipica ballad in stile Porcupine Tree. Perfetta nella forma, nella melodia e nel testo ma poco originale ed eccessivamente troppo simile alle splendide ballad composte in passato (vedi ‘Heartattack In A Lay By’). L’eredità lasciata dai Beatles è ancora molto presente anche se ben assimilata in un sound moderno e dinamico. ‘Arriving Somewhere But Not Here’ è uno splendido pezzo psichedelico, apocalittico, profondo. Ma anche in questo caso, poco originale.
Il disco scorre in maniera piacevole attraverso pezzi come la potente ‘Open Car’ e la conclusiva ‘Glass Arm Shattering’, arricchita da un sapiente uso dell’elettronica. L’impressione di base è che ‘Deadwing’ sia un ottimo disco, di grandissima qualità e con una ottima registrazione. Ma cosa non lo rende perfetto? Una fondamentale stanchezza compositiva che sembra aver attanagliato il geniale Steven Wilson. I pezzi sono tutti di ottima fattura ma si percepisce una mancanza di freschezza di base e una eccessiva tendenza al ripetersi. Forse è normale, forse non dobbiamo aspettarci niente di buono nel prossimo album. Per ora godiamoci le sensazioni e le emozioni che questa incredibile band riesce sempre a darci.
Andrea Belfiore
Voto recensore 7 |
Etichetta: Lava Records / Warner Group Anno: 2005 Tracklist: 01. Deadwing 02. Shallow 03. Lazarus 04. Halo 05. Arriving Somewhere, But Not Here 06. Mellotron Scratch 07. Open Car 08. Start Of Something Beautiful 09. Glass Arm Shattering |