Recensione: Dark Quarterer

Sarebbe doveroso, seppur al contempo estremamente complesso, introdurre ‘Dark Quarterer’ con un excursus sulla storia lunga e tormentata dell’eccezionale band toscana, attiva fin dagli anni ’70 ma con soli 4 album all’attivo e protagonista di vicende (personali e professionali) che le hanno impedito di raggiungere un successo che mai per un gruppo di casa nostra sarebbe stato più meritato; ma, purtroppo, non siamo qui per una lezione di storia della musica e quindi tuffiamoci tra le note di questo strepitoso debutto la cui pubblicazione risale all’ormai lontano 1987 (anche se tra le mie mani ho la ristampa uscita nel 2003 a cura dall’etichetta ellenica Unisound Records). Coerenza, passione, originalità e grande consapevolezza dei proprio mezzi: questi i punti cardinali della galassia Dark Quarterer che possiamo trovare, già compiutamente espressi, in un album che colpisce fin dall’inquietante copertina. Le atmosfere che permeano l’intero platter sono cupe, misteriose e oscure e possiamo riscontrarne la presenza già in ‘Red Hot Gloves’, brano di apertura che traccia subito le coordinate tipiche del sound sfornato dal trio di Piombino: riff cangianti ed assoli avvolgenti e trasudanti feeling (Fulberto Serena), percussioni fantasiose, dinamiche ed incalzanti (Paolo Ninci) ed una voce che, per timbrica, estensione ed espressività da l’impressione di poter fare quello che vuole o quasi (Gianni Nepi). Ma al di là di queste pur sconfinate qualità più puramente tecniche quello che colpisce di questa musica è la combinazione di diversi generi e di molteplici influenze, retaggio di un passato da cover band di tutti i più grandi gruppi hard e progressive degli anni ’70 (Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, Genesis, Jethro Tull, Cream, Uriah Heep e tanti altri) che ha permesso ai nostri di elaborare a loro volta, col tempo e con dedizione e meticolosità infinite, uno stile assolutamente unico e personale. A condire il tutto i testi di Gianni Nepi che, influenzati spesso e volentieri dal carattere ombroso ed introverso di Fulberto Serena, risultano pervasi da una marcata vena dark; a tal proposito basti pensare che in ‘Gates Of Hell’ il protagonista decide di votarsi al male in vita in modo da poter, una volta morto, spodestare Lucifero dal suo trono di re degli Inferi. Ma a stupire sono anche la lunga, epica e maestosa ‘Colossus Of Argil’; ‘The Entity’, inquietante nel testo non meno di ‘Gates Of Hell’ ma articolata su ritmiche più variegate e meno marziali; la conclusiva ‘Dark Quarterer’, manifesto di un intero universo musicale realmente oscuro e misterioso ma proprio per questo tremendamente affascinante. Non è per tutti il metal contenuto in queste tracce, un metal fondamentalmente epico ma che alla fine sfugge, per fortuna, alle canoniche definizioni; non lo è a causa tanto della complessità delle strutture e delle soluzioni armoniche quanto delle morbose atmosfere, dipinte a tinte forti e cupe, di cui sono intrisi i testi. Ma possiamo garantirvi che, se vi innamorerete di tutto ciò, non si tratterà di una cotta passeggera ma di una passione travolgente e totale, nella quale immergersi fino al midollo. Voi fidatevi se vi diciamo che vale realmente la pena provare a lasciar parlare queste note; al resto penserà il vostro cuore.

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