Daniel Ekeroth: intervista all’autore e musicista

Daniel Ekeroth è noto soprattutto per essere l’autore del libro e della compilation “Swedish Death Metal”, preziosa opera che ci racconta le origini di una delle più straordinarie scene della musica estrema. Non tutti sanno però che il nostro è anche un appassionato intenditore di cinema d’exploitation, argomento sul quale ha già scritto due libri. La presentazione milanese del secondo di questi, intitolato “Swedish Sensationsfilms”, rappresenta per noi l’occasione per conoscere una delle figure più colte e interessanti del panorama metal europeo. Daniel si dimostra un interlocutore molto loquace e dotato di grande sense of humor, rilasciandoci un’intervista ricca di aneddoti che spazia dal cinema alla musica.

Per prima cosa, potresti presentarci il tuo nuovo libro, “Swedish Sensationsfilms”?

In realtà ho scritto questo libro prima di “Swedish Death Metal”. Una sera di 12 anni fa io e un mio amico eravamo ubriachi e ci siamo detti “Perché non scriviamo un libro?”. Quattro mesi più tardi eravamo pronti con un volume sul cinema italiano che abbiamo intitolato “Violent Italy”: non era un granché, ma è andato sold out! Ci abbiamo guadagnato dei soldi, così abbiamo deciso di scrivere altri libri. A quel punto però ci siamo divisi: il mio amico ha scritto un libro sulla musica progressive svedese e io ho scritto un libro sul cinema svedese. I ragazzi che hanno pubblicato “Swedish Death Metal” in America mi hanno chiesto se avevo scritto qualcos’altro e io gli ho parlato di “Swedish Sensationsfilms”: loro hanno detto “Oh, possiamo farlo uscire! Non abbiamo mai sentito niente di simile prima!” e così è andata.
Io sono sempre stato un fan del cinema d’exploitation, specialmente di quello italiano. Mi chiedevo “C’è qualcosa di simile in Svezia?”. Io conoscevo giusto un paio di film, allora mi sono messo alla ricerca di qualunque film svedese che potessimo definire d’exploitation. Ho trovato delle pellicole di questo genere, ma ho pensato per loro un alto nome, quello appunto di “sensations films”: non si tratta infatti di vero e proprio cinema d’exploitation, ma di film che hanno comunque qualcosa in comune con questa corrente. Troviamo ad esempio pellicole totalmente noiose dove all’improvviso c’è una scena con una giovane ragazza nuda, senza alcuna ragione! Questa scena era l’unico scopo del film, quella per attirare il pubblico. E’ ciò che ho potuto trovare in Svezia, davvero!

Immagino allora tu sia un grande fan dei thriller e degli horror italiani: quali sono i tuoi registi preferiti?

Sì, sono un fan soprattutto dei film horror: tutti quelli di Lucio Fulci e Umberto Lenzi ad esempio. Quando ero adolescente non sapevo che fossero italiani, l’ho scoperto quando avevo 20 anni: a quel punto ho iniziato a collezionare qualunque tipo di cinema italiano. Penso che ora i miei preferiti siano i polizieschi e i gialli: i film di Sergio Martino e quelli con Franco Nero o con Maurizio Merli. Tutti questi film sono comunque belli, gli unici con cui ho problemi sono i western: penso infatti che di questi ce ne siano più o meno 20-30 belli, ma 500 veramente brutti! I film western sono noiosi perché non ci sono ragazze nude! Ahahah! Ma ci sono delle belle colonne sonore. Film come “Django” o “Se sei vivo spara” mi piacciono. C’è poi un’altra pellicola che voglio citare, “Giallo a Venezia”.

Considerando invece le nuove tendenze del cinema, quali sono i tuoi generi o autori preferiti?

Non mi piacciono molto i nuovi film… Uno recente che mi è piaciuto molto è “Team America: World Police” (film d’animazione del 2004 diretto da Trey Parker, il creatore della serie “South Park”, n.d.r.). Non mi piacciono invece i nuovi horror, penso che non colgano gli aspetti essenziali. Film come “Saw” o “Hostel” sono più brutali di qualunque pellicola mai uscita, ma manca loro quel qualcosa che invece i vecchi film avevano. Io ho qualche problema con questi nuovi horror. Altri film recenti che mi sono piaciuti sono il tedesco “Das experiment” (“The Experiment – Cercasi cavie umane” in italiano, film del 2001 diretto da Oliver Hirschbiegel, n.d.r.) e l’horror svedese “Let the right one in” (“Lasciami entrare” in italiano, film del 2008 diretto da Tomas Alfredson, n.d.r.), di cui hanno fatto anche un remake americano.
Penso comunque che ora le persone sappiano quello che stanno facendo, mentre negli anni ’70 i registi non ne avevano idea! Molti film che amo sono stati realizzati così e il risultato è davvero grandioso. I registi, i cameraman, gli attori… non sapevano quel che stavano facendo, ma alla fine tutto è bello e cool. Nei gialli italiani le persone vanno in giro, muoiono come se bevessero… sembra che nessuno stia lavorando! Si trovano in un appartamento nel centro di Milano o Roma e il risultato è un film che non ha alcun senso, ma è grande!

Iniziamo a ricollegarci a “Swedish Death Metal”: il cinema ha rappresentato una fonte d’ispirazione per le storiche band di cui parli in questo libro?

Sicuramente i film di zombie sono stati una fonte d’ispirazione per queste band: soprattutto all’inizio i loro testi erano incentrati su argomenti “gore” e horror. In seguito poi hanno cominciato a parlare di Satana! La scena death metal in Svezia era inizialmente composta da soli adolescenti, non c’era nessuno che avesse più di 20 anni, e loro volevano essere i più estremi possibile anche per quanto riguarda i testi.

In “Swedish Death Metal” parli di Pär Fontander, il DJ che conduceva lo show radiofonico “Rockbox”, e lo descrivi come una sorta di John Peel svedese: puoi dirci di più su questa figura e sul suo ruolo?

C’erano due show radiofonici dedicati all’heavy metal alla fine degli anni ’80. Uno si chiamava “Heavy Metal” e passava Deep Purple e Black Sabbath, nulla di più. Poi c’era Pär Fontander, che era diverso: pure lui passava i Deep Purple e i Black Sabbath, ma anche la musica più estrema che riuscisse a trovare, sempre. Non tanto perché gli piacesse, ma perché per lui era divertente! Cominciò con Exodus, Slayer e Metallica, poi intervistò i Bathory e infine iniziò a passare i gruppi death metal. Io ascoltavo il programma tenendo a portata un foglio e una penna, mi segnavo le canzoni che venivano suonate, quindi andavo al negozio di dischi per comprare quegli album: naturalmente non li avevano mai, perciò dovevano sempre ordinarmeli e io avevo da aspettare un mese! Ho letto un’intervista a Pär in un magazine alcuni anni fa: lui non aveva idea della pesante influenza che ha avuto!

La notte in cui “Rockbox” fece un tributo ai Metallica in seguito alla morte di Cliff Burton, avvenuta il giorno stesso, presentò al pubblico anche i Candlemass con la loro canzone “Solitude”: tu descrivi questo momento come fondamentale per il death metal svedese. Potresti raccontarci dell’atmosfera che si respirava quella sera?

Una notte di appena pochi mesi prima i miei genitori erano venuti a svegliarmi perché era stato ucciso il Primo Ministro (Olof Palme, assassinato la sera del 28 febbraio 1986 con un colpo di pistola: l’episodio viene raccontato nel libro, n.d.r.): la Svezia rimase sotto shock e non molto tempo dopo avvenne anche l’incidente che causò la morte di Cliff Burton (il 27 settembre fuori Ljungby, nel sud del paese, n.d.r.). Si respirava un clima di terrore, tutto andava male. Penso che ogni band citata in “Swedish Death Metal” fosse presente all’ultimo show dei Metallica con la formazione originale, tenutosi la sera prima dell’incidente. Lo so perché un paio di giorni prima i ragazzi dei Treblinka, che poi sarebbero diventati i Tiamat, erano a casa mia e mi hanno raccontato che Johan Edlund e Jörgen “Juck” Thullberg avevano rubato la macchina del padre di Johan, poi avevano fatto l’autostop fino in Germania ed erano rimasti là per una settimana (avevano 14 anni!), quindi si sono detti “Ehi, ma noi abbiamo dei biglietti per i Metallica!” e sono tornati a casa. I loro genitori erano diventati matti! Ma questo era solo per spiegarti che a quel concerto c’erano tutti: dopo quello show e la morte di Cliff in molti di noi hanno deciso di mettere su una band e cominciare a fare sul serio, compresi i ragazzi dei Treblinka.

Tu descrivi i primi due demo dei Nihilist, gruppo che costituì la prima incarnazione degli Entombed, come le prime registrazioni 100% swedish death metal: puoi spiegarci l’importanza di questa band?

Penso che la persona più importante fosse soprattutto Nicke (Anderson, batterista prima dei Nihilist, poi degli Entombed, n.d.r.): era totalmente interessato alla musica, molto talentuoso (componeva e suonava tutto il tempo) e tutti ottenevano i demo da lui; se lui aveva un demo, la settimana dopo ce l’avevano in 50! Lui era anche in molte band prima dei Nihilist, soprattutto in compagnia di ragazzi dei Treblinka: Corrupt, River’s Edge, Clint Eastwood Experience… Ma è stato coi Nihilist che ha cominciato a suonare qualcosa di diverso: loro sono stati i primi a registrare un vero demo che si differenziava da ciò che c’era stato prima. Mephisto, Morbid, No Security e Merciless suonavano ancora più thrash metal, ma i Nihilist avevano un suono speciale di chitarra e delle linee vocali veramente nuove; ed erano musicisti nettamente migliori degli altri.

Leggendo il libro mi sembra di capire che tu non sia un grande fan degli Europe (definiti in un passaggio “pacchiani”), una band che è un simbolo dell’hard rock svedese: qual è la tua opinione su di loro?

Penso che il primo album degli Europe sia davvero bello, perché è metal. Il secondo è già un po’ più… non saprei come dire… scadente, mentre “The Final Countdown” fa schifo! Sono solo tastiere! Quando arrivò il thrash metal io e i miei amici non potevamo più ascoltare nient’altro che non fosse thrash e quando poi arrivò il death metal non potevamo più ascoltare il thrash: eravamo sempre alla ricerca della roba più estrema in circolazione. Voglio dire, gli Europe non li prendevamo neanche in considerazione, noi volevamo band come gli Anthrax e cose simili. Alcune persone non ascoltavano neppure gli Slayer perché li consideravano troppo scarsi!
Vale la pena a questo punto di raccontare un divertente aneddoto emerso più tardi, durante la presentazione di “Swedish Sensaionsfilms”. Daniel, che tra l’altro è in grado di parlare un discreto italiano, sta parlando dei pochi e scadenti film horror prodotti in passato in Svezia. Dopo aver citato una pellicola in cui un mostro spaziale atterra nel nord della Svezia per poi non combinare assolutamente nulla, ci racconta di un film i cui protagonisti sono i ragazzi di una band heavy metal che si reca sempre nel nord del paese per girare un video. Uno dei musicisti è interpretato da un giovane Kee Marcello, futuro chitarrista degli Europe: Daniel aggiunge allora che questa pellicola dà l’opportunità di vedere Kee Marcello che viene ammazzato, tra le risate di tutta la sala!

Tu sei anche abbastanza critico verso due delle più popolari band death metal svedesi: In Flames (di cui nel libro si dice “a me sembrano commerciali e costruiti a tavolino in maniera quasi fastidiosa”) e Dark Tranquillity (definiti come “uno dei gruppi meno esaltanti in assoluto tra tutti quelli che hanno avuto legami con la scena death svedese e sono poi diventati famosi”). Quali sono le ragioni delle tue critiche?

Gli In Flames erano abbastanza bravi all’inizio, quando suonavano canzoni che possiamo definire death metal; ma proprio agli inizi, quando i Dark Tranquillity erano gli In Flames e viceversa, dato che le due band si sono scambiate i componenti! In seguito le loro canzoni suonavano per me più pop che death metal. Se li compari con i Dissection o gli At The Gates puoi trovare elementi in comune, ma per me gli In Flames suonano totalmente diversi, non riesco a capirli. Per quanto riguarda i Dark Tranquillity, penso che siano una brutta copia degli In Flames! Comunque sono ottime persone, sono anche stato in tour con loro con la mia vecchia band!

Per concludere, una domanda un po’ sociologica! Nell’introduzione del libro tu ti chiedi: perché tutto questo è avvenuto proprio in Svezia? La spiegazione che dai è essenzialmente che nel tuo paese la maggior parte delle città sono piccole e noiose e i giovani non hanno altro da fare che praticare sport o suonare musica. Io vorrei approfondire un po’ la questione e ti chiedo: com’è possibile che una musica così estrema, malinconica e controcorrente come il death metal svedese sia emersa da un paese ricco, con un eccellente welfare, un basso tasso di disoccupazione e non molti problemi sociali?

E’ vero che non abbiamo questi problemi, ma ne abbiamo d’altro tipo. Io sono cresciuto in un piccolo villaggio di circa 2.500 abitanti: penso che in Italia, se riesci a trovare a un posto così piccolo, puoi trovarci almeno un bar, un ristorante o qualcosa di simile. In Svezia non abbiamo questi posti, non abbiamo proprio nulla da fare in assoluto! Avevo una ragazza italiana che venne a trovare me e la mia famiglia e mi disse: “come puoi vivere qua? Non c’è nulla da fare!” e impazziva per questo. Se vai nella città più vicina, che ha già 20.000 abitanti, ci trovi solo un bar e tre ristoranti: come puoi vivere così!? E’ una mentalità completamente differente: penso che se le persone del sud Europa provassero a stare in Svezia per un lungo periodo di tempo impazzirebbero, non c’è proprio niente da fare. Voglio dire… niente! Ahahah! Il problema è che servono tantissimi permessi per aprire un locale, non è facile. Ed è anche molto difficile ottenere il permesso per vendere alcol, che poi è molto caro. Così le persone bevono a casa e da sole. Tutti i ragazzi di cui parlo nel libro non bevono nei bar, ma nelle foreste, nei cimiteri e nei sottopassaggi della metropolitana!

matteo.roversi

view all posts

Nerd e metallaro, mi piace la buona musica a 360 gradi e sono un giramondo per concerti (ma non solo per questi). Oltre al metal, le mie passioni sono il cinema e la letteratura fantasy e horror, i fumetti e i giochi di ruolo. Lavorerei anche nel marketing… ma questa è un’altra storia!

0 Comments Unisciti alla conversazione →


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Login with Facebook:
Accedi