Sono passati sette anni dal debutto dei Cry Of Dawn. Per chi non lo sapesse, dietro il nome ad effetto di questo progetto c’è il cantante svedese Goran Edman, ma se nel primo album erano diversi i musicisti ad affiancarlo, per “Antropocene” ce nè uno solo, ma si tratta di un altro pezzo da novanta del melodic rock: stiamo parlando di Tommy Denander, in una delle sue apparizioni più ispirate. L’unione di forze e talenti dà vita ad un prodotto di melodic rock intriso di classe ed emozioni che non mancherà di far breccia nei cuori degli appassionati del genere. Un album che non colpisce per la sua forza d’urto, ma per la capacità di crescere sinuoso ascolto dopo ascolto, in virtù della voce vellutata di Edman e di linee melodiche intriganti ed efficaci.

L’andatura non troppo sostenuta consente di immergersi pian piano nel bagno di musica preparato e suonato da Denander, con le tastiere a fungere da prezioso elemento di raccordo ed aggiungere le tinte pomp che rendono grandioso un pezzo come “Memory Lane”, anche prima che questo esploda in un ritornello strepitoso. La dolce e delicata “Swan Song Of Our Love” entra nel cuore grazie al suo suono pieno e al sapore quasi blues, stesso effetto ottenuto dalla più classica delle ballad “Edge Of A Broken Heart”. Altrove, sono sicuramente da segnalare le punteggiature pop di “Sign Of The Times” e della conclusiva “High And Low”, forse il pezzo più diretto del lotto, che insieme alla malinconia che permea “Long Time Coming Home” suggellano nel migliore dei modi un album davvero notevole.

Ben più della già considerevole somma delle storie artistiche di Edman e Denander, oltre che un balzo in avanti rispetto al pur godibile primo capitolo targato Cry Of Dawn.

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