Circus Of Rock – Recensione: Lost Behind The Mask

Massive, monstrous, epic: non c’è dubbio che alla Frontiers non abbiano intenzione di risparmiare gli aggettivi quando descrivono “Circus Of Rock”, un progetto nato due anni fa per volontà del batterista finlandese Mirka Rantanen (King Company ed in passato Raskasta Joulua, Kotipelto, Warmen, Northern Kings, Revolution Renaissance, Hevisaurus) che – bisogna darne atto con onestà – ha saputo riunire intorno a sé tantissimi tra gli artisti più rappresentativi della scena nordica e non solo. Se già in occasione dell’uscita di “Come One, Come All” avevamo avuto modo di apprezzare un disco che era “tante belle cose e tutte assieme, senza eccessive costrizioni né pretese di memorabilità, capace di ritagliarsi un piccolo spazio nel quale mancanza di focus ed astrazione sono il piacevole prezzo da pagare”, le aspettative non confronti del suo successore non possono che essere molte: con ospiti provenienti – tra gli altri – da Lordi, Pink Cream 69, Uriah Heep, Girish And The Chronicles, Sons Of Apollo e Ring Of Fire, se c’è una cosa che a questo ascolto non dovrebbe mancare, questo è proprio il talento multiforme degli artisti coinvolti. Registrata con favore anche la presenza di colleghi che (ancora) non fanno parte del roster di Frontiers, a testimonianza di un progetto forte dei propri legami artistici e personali che ne hanno ampliato la portata oltre i confini contrattuali, “Lost Behind The Mask” non si perde in chiacchiere: con una prima traccia intitolata “Alive And Kicking” ed affidata alla grinta dello straordinario Girish Pradhan, tra le voci più interessanti ed efficaci del panorama hard rock moderno, il tipo di esperienza energica offerto da questo nuovo album si rivela subito ed in tutta la sua coinvolgente natura.

E’ sufficiente addentrarsi un po’ tra le quattordici tracce per rendersi conto che, in questa seconda occasione, l’album beneficia di una maggiore coerenza, nonostante la presenza di così tanti cantanti: se anche ogni episodio si caratterizza per un’atmosfera pensata per le caratteristiche individuali del suo interprete (“Keep On Shining” è elegante, vibrante e perfetta per Jeff Scott Soto, ad esempio, mentre “The War Is Over” è americana quanto basta per mettere a perfetto agio il talento di Mark Boals), rispetto a “Come One, Come All” l’idea dell’allegro carrozzone passa in secondo piano, a favore di un maggiore controllo – esercitato anche mediante il drumming dello stesso Rantanen – che testimonia una crescita di Circus Of Rock in termini di consapevolezza e personalità. Un controllo che sembra aver dettato la scelta degli interpreti ancor prima della rifinitura delle canzoni, in modo da assemblare la squadra giusta per l’album che si aveva in mente: un’ipotesi che, se così fosse, testimonierebbe la solidità delle relazioni mantenute dalla mente di questo progetto nel corso di oltre trent’anni di carriera in ambito musicale. Quello che davvero sorprende è però la qualità di ciascun brano, come se ad ogni singolo ospite fosse stata affidata una composizione con tutte le potenzialità per diventare un singolo: nonostante la maggiore uniformità stilistica espressa dalla tracklist, tutta votata ad un hard rock coinvolgente e ritmato, ogni canzone possiede un chorus di buona presa, una presenza strumentale interessante (sia essa un assolo di chitarra, un giro di basso o un bell’accompagnamento di tastiere, come nel caso di “Death Makes No Sound”) ed un arrangiamento opulento e ben organizzato, che in nessuna occasione lascia trasparire una nota di stanchezza o ripetitività. Un risultato ancora più brillante se consideriamo una durata totale che, con i suoi cinquantotto minuti, soddisfa anche dal punto della quantità.

In un quadro evidentemente radioso è difficile individuare episodi di spicco, perché questo significherebbe fare un torto agli altri: si potrebbe però fare un’eccezione innocente per l’ottima interpretazione della bulgara Svetlana “Sevi” Bliznakova (“The Beast”), per il modo in cui David Readman ci riporta ai primi tempi degli Europe con la sua “Is It Any Wonder?” e per il tocco inconfondibile di Bernie Shaw degli Uriah Heep, al quale sono stati saggiamente affidati gli otto sinfonici minuti della conclusiva “Sunrise”. Leggermente meno efficaci risultano, per contro, le prove di Lordi (un po’ tirato in “Nine Lives”), Pinja Pitkänen (la sua balladAll I Need” è di anonima e dimenticabile dolcezza) e Jukka Sakari (“Truth Or Consequences” è ottantiana al punto da risultare leggermente fuori posto): non si tratta in ogni caso di una vera e propria critica, dal momento che in un contesto differente e meno competitivo anche i brani affidati alle loro ugole avrebbero fatto la loro figura. Quando una recensione si scrive praticamente da sola, perché durante l’ascolto il disco continua ad offrire nuovi e positivi spunti senza bisogno di andarli a cercare con minuzia chirurgica, l’impressione finale non può che essere entusiasta. Mirka Rantanen si dimostra ancora una volta un abile Mangiafuoco capace di infondere nella sua nuova creatura una dose abbondante e ben amalgamata di classe, tecnica ed energia: finendo col rappresentare, più o meno consapevolmente, lo spumeggiante stato dell’arte dell’hard rock moderno e di questo tipo di imprese collaborative.

Marco Soprani

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Folgorato in tenera età dalle note ruvide di Rock'n'Roll dei Motorhead (1987), Marco ama fare & imparare: batterista/compositore di incompresa grandezza ed efficace comunicatore, ha venduto case, lavorato in un sindacato, scritto dialoghi per una skill di cucina e preso una laurea. Sfuggente ed allo stesso tempo bisognoso di attenzioni come certi gatti, è un romagnolo-aspirante-scandinavo appassionato di storytelling, efficienza ed interfacce, assai determinato a non decidere mai - nemmeno se privato delle sue collezioni di videogiochi e cuffie HiFi - cosa farà da grande.

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