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Bring Me The Horizon – Recensione: Post Human: Survival Horror

Imprevedibili? Si, esagerati? Forse, ma se c’è una qualità che non è mai mancata ai Bring Me The Horizon, questa è l’originalità, la capacità di lasciare l’ascoltatore al buio fino ad un attimo prima dell’inizio di ogni pezzo. Con questa logica il quintetto di Sheffield aggiunge un nuovo tassello ad una delle discografie più variegate della storia della musica alternativa, capace in qualche modo di passare dal caotico e primitivo deathcore di “Count Your Blessings” (2006) all’esperimento pop rock/elettronico che è “Amo” (2019) in modo talmente fluido da non pesare sulle aspettative dei fans. Cosa aspettarsi dunque da “Post Human: Survival Horror”? La risposta è in realtà molto complessa, perché per ogni persona che urla al “ritorno alle origini” ce n’è un’altra che fa notare le influenze di “Amo” sparse nelle 9 tracce che compongono questo nuovo lavoro (primo di una serie di 4 album chiamata appunto “Post Human”), scritto e prodotto interamente nel periodo di quarantena. Mi piace pensare che entrambe le scuole di pensiero siano giustificate quando si parla di un disco che prende tutto ciò di buono che la band ha prodotto in quasi 20 anni di carriera e lo frulla in 32 minuti di caos ragionato e sperimentale.

L’EP si apre con “Dear Diary,”, una vera chicca per gli amanti dei videogiochi horror, come il sottoscritto, in quanto liricamente il pezzo prende spunto dal famoso “Keeper’s diary” presente in Resident Evil 1 che narra gli ultimi lampi di sanità mentale in un infetto dal virus T, prossimo all’inevitabile trasformazione in Zombie. Felicità da nerd a parte, la scelta di aprire il disco con un pezzo così veloce ed abrasivo (che sembra uscire direttamente da “There Is A Hell…” del 2010) è azzeccatissima e mette subito in chiaro le intenzioni del gruppo: dimenticatevi il lato più pop della band per una mezzoretta, qui si fa sul serio. E siamo solo all’inizio. Segue nella tracklist “Parasite Eve”, ispirata ad un altro videogioco Survival Horror (inizio a capire da dove hanno preso il titolo del disco) dello stesso nome, prodotto nel 1998 da Squaresoft, oggi Square Enix. Il pezzo riprende le sonorità intraprese dalla band nel singolo del 2019 “Ludens”, presente come traccia 8 dell’EP, concentrandosi sul lato più cupo dell’elettronica che caratterizzò “Amo” senza perdere di vista la ritrovata passione per i breakdowns e le ossa rotte. “Teardrops”, con il suo ritornello pericolosamente catchy ed i suoi riff alla Linkin Park, lascia spazio ad “Obey”, pezzo che introduce un altro punto forte dell’album: i featurings. Yungblud, Babymetal, Nova Twins ed Amy Lee accompagnano alla voce un Oliver Sykes al picco della sua crescita artistica: il disco infatti, vocalmente, evidenzia l’evoluzione tangibile di Sykes dai primi tentativi di sperimentare con la sua voce in “That’s The Spirit” (2015) giungendo a pezzi come “1×1” (con le Nova Twins) e la suggestiva “One Day The Only Butterflies Left Will Be In Your Chest As You March Towards Your Death”, narrata anche dalla bellissima voce di Amy Lee. “Itch For The Cure” è invece in fantastico preludio per quello che secondo molti è il capolavoro di Survival Horror: “Kingslayer”.

Il contrasto tra la rabbia di Oliver e la grazia delle Babymetal crea un legame inaspettato ma funzionante, accentuato da un lavoro strumentale con un certo tiro, che serve a ricordare all’ascoltatore che dietro a quel muro di synths innalzato con il passare degli anni ci sono ancora 5 musicisti all’altezza della carriera che sono riusciti a crearsi. Riffoni prepotenti, un assolo alla Kerry King (Lee Malia finalmente ha la sua occasione per prendersi un po’ di luci di scena) ed una sezione ritmica martellante vengono pompati da una produzione chiarissima gestita da Sykes, Jordan Fish ed in parte, per regalare un ultimo sorriso al nerd che c’è in me, da Mick Gordon, famoso per essere il compositore per il franchise videoludico di Doom tra le altre cose.

Difficile dire cosa i Bring Me The Horizon abbiano in serbo per il futuro, la certezza che ci lascia il presente è però che ci sono davvero poche band capaci di reinventarsi in continuazione con il coraggio ed il carattere che li caratterizza da sempre. “Post Human: Survival Horror” è l’ennesima perla firmata dai cinque e merita un ascolto approfondito da chiunque sia anche solo curioso ad approcciarcisi.

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