Bon Jovi: Live Report della data di Imola

Sabato 14 Giugno 2003

La seconda giornata del festival ha visto come show più riuscito il protagonista della ‘Late Night’. Il camaleontico Tricky ha infatti davvero impressionato. Ottimi show anche per i divi Bon Jovi e per Dave Gahan, temporaneamente transfugo dai fondamentali Depeche Mode. Buone risposte anche dall’entroterra italico. Complessivamente è stata la giornata con meno spettatori paganti delle tre (28000 circa), calati dalla precedente di ben 12000 unità. Non cala invece il caldo opprimente che, insieme a qualche prestazione opaca, è stato l’unico elemento negativo. Fortunatamente nessuna presenza di folli lanciatori che ha compromesso almeno tre show in tutta la manifestazione.

SETTEVITE

I Settevite, gruppo quasi totalmente rivoluzionato nel corso degli anni, festeggia con la presenza all’Heineken Jammin Festival il decimo anno di attività. Il quintetto, guidato dalla vocalist Lella, ci propone una manciata di pezzi quasi interamente estratti dall’ultimo ‘Freak Show’. Si parte con l’opener ‘Out Of Control’ che, come nelle altre tracce, presenta una base musicale che parte da gruppi alternative come Stone Temple Pilots, Pearl Jam ed anche Guano Apes fino ad arrivare a lambire certe sonorità care a Subsonica e Ritmo Tribale. Davvero ben fatta la cover dei Matia Bazar ‘Ti Sento’ che conclude davvero una buona performance.

ZEN

Per il secondo anno consecutivo calcano questo palcoscenico gli Zen che, ormai habitué del luogo, ostentano sicurezza presentando al pubblico quattro nuove tracce tra cui spicca l’opener ‘Choose To Live’ e un paio di estratti dal primo album della band ‘Pornstar’ tra cui la funkeggiante ‘Letters’. Le composizioni che andranno a comporre il nuovo lavoro sembrano più elaborate e, oltre a mantenere diverse impronte di un gruppi come i Bush, fonte principale di influenza, inglobano anche partiture care a un certo rock modernista. Come i Settevite, destano una buona impressione.

ANOUK

Grintosa. Giunta al quarto album con ‘Graduated Fool’ uscito nel 2002, la talentuosa Anouk Teeuwe sfoggia dal vivo una voce calda ed intensa con picchi di elevato spessore: come in ‘Too Long’ che reca visioni funkeggianti accostabili a certi Red Hot Chili Peppers o, meglio ancora, nel primo singolo dell’ultimo album, la bella e potente ‘Everything’, song prettamente rock. Il pubblico sembra apprezzare le parti più robuste come per ‘Who Cares’ ma sembra gradire anche le ‘carezze’ vocali di ‘Hail’. L’artista olandese sembra più in sintonia con il più recente repertorio, piuttosto che nel passato decisamente pop. Chiude ‘The Dark’ estratta da ‘Urban Solitude’ album che l’ha condotta alla consacrazione internazionale.

THE MUSIC

Divertenti. Questi quattro sbarbatelli di Leeds (non superano infatti i 20 anni di età) hanno un pregio, l’assoluta noncuranza della pressione che in maniera progressiva si sta abbattendo su di loro da parte di certa stampa, soprattutto britannica, che ha già cominciato a fare paragoni scomodi con nomi altisonanti come Beatles et similia e che ha pronosticato per loro un futuro assolutamente pieno di ricchezza e dischi di platino. Al contrario altri ritengono che sarà uno dei soliti ‘titoli’ che, passato il momento favorevole, tornerà rapidamente nell’anonimato. La verità forse sta nel mezzo e, se è vero che i nostri non inventano la nuova psichedelica come qualche campanilista made in U.K. ha affermato, i ragazzi riescono a far ballare e divertire il pur non foltissimo pubblico che è sparso disordinatamente, a quell’ora,nell’autodromo. Episodi migliori ‘The People’, la decisamente acida ‘The Dance’ e la strumentale che chiude lo show ‘The Walls Get Smaller’.

LIVE

Non mi hanno mai convinto ed anche in sede live rimango della stessa opinione. I Live non sono mai stati un gruppo fondamentale con il loro scialbo alternative rock. Si salvano soltanto qualche traccia dall’album più riuscito, ossia ‘The Distance To Here’ (‘Dolphin Cry’ e ‘They Stood Up For Love’) e qualche estratto dall’ultimo ‘Birds Of Pray’ tra cui le apripista ‘Like I Do’ e ‘Lighthouse’ poste in apertura di concerto. Per il resto il tedio assale non pochi spettatori, che aspettavano il finis della prestazione dei quattro per accogliere a braccia aperte il frontman dei Depeche Mode, Dave Gahan.

DAVE GAHAN

Il pubblico accoglie con un’ovazione Dave Gahan che, in forma smagliante, attacca subito con ‘Hidden Houses’, traccia ricca d’atmosfera eseguita forse per far ‘acclimatare’ il pubblico alla proposta dello scatenato frontman. Il gruppo che lo segue in tour, soprattutto il batterista, aiuta notevolmente a dare una piega rock alle composizioni di ‘Paper Monsters’ che, su disco, non avevano particolarmente impressionato. ‘Dirty Sticky Floors’ raccoglie innumerevoli consensi dagli spettatori, non proprio moltissimi per la verità, accorsi a vedere da vicino una vera e propria istituzione. Ma i veri appassionati non aspettavano altro che l’istrionico singer proponesse qualche cover dei Depeche Mode. Arriva infatti ‘Question Of Time’ che, naturalmente, scatena il pubblico che balla e strepita al ritmo del vibrante classico. Dave possiede un magnetismo non comune e riesce a calamitare l’attenzione del pubblico con movimenti e gesti quasi schizoidi. Le atmosfere simil-western di ‘Black And Blue Again’ colpiscono nel segno, ma sono ancora i pezzi dei Depeche Mode a riscaldare l’audience. Le meravigliose ‘Walking In My Shoes’, ‘Personal Jesus’, ‘I Feel You’ e la conclusiva ‘Never Let Me Down Again’ sono riarrangiate in maniera più ruvida e rock e risultano perciò particolarmente gradite. Il frontman saluta caldamente i fan più esagitati ed esce tra interminabili applausi.

BON JOVI

Arriva il turno dei Bon Jovi e l’audience, specialmente quella femminile, ne condisce l’entrata di scena con urla e gridolii degni di Dani dei Cradle Of Filth! Quello che si capisce subito, ascoltando le prime note di ‘Keep On Rocking In The Free World’, presa in ‘prestito’ da Neil Young, è che il clima è incredibilmente più rilassato della precedente giornata e complici, sia il volume notevolmente più basso (anche sostando a due passi dai pur giganteschi amplificatori), sia l’assenza della massa di persone scalpitanti che il giorno prima erano ‘tritate’ in tutto il settore del sottopalco (chiamato vasca 1), assistiamo ad una performance sì vigorosa ma estranea da un coinvolgimento collettivo di tutto l’autodromo verificatosi per i Metallica (esagitate fan escluse). Da rimarcare però che, pur non essendoci una marea di spettatori nel sottopalco, quasi tutto il live-set è stato da loro cantato interamente. Si sono viste 28000 persone infiammarsi per ‘You Give Love A Bad Name’ insieme alle altre tracce di ‘Slippery When Wet’, il migliore della discografia del signor Bongiovanni (questo il suo vero cognome), come ‘Livin’On A Prayer’ e ‘Raise Your Hands’, davvero perfette per essere riprodotte live. La scaletta procede zigzagando tra i vari successi partendo da ‘Lay Your Hands On Me’ (‘New Jersey’), all’ovattata e pop ‘Keep The Faith’ la cui fase centrale è dominata da un segmento di ‘Sympathy For The Devil’ dei Rolling Stones, da sempre il faro della band. Spazio anche per la discreta ‘It’s My Life’ (‘Crush’) e per un paio di estratti dal non proprio brillante ‘Bounce’. Addirittura riproposta dal primo, omonimo album della band la springsteeniana ‘Runaway’ con, in evidenza, gli assoli di Richie Sambora (che, notoriamente megalomane porta il proprio cognome scritto in cubitale sulla t-shirt). Qualche rocker di vecchia data scuote la testa vedendo il singer sculettare in qualche frangente e mettersi in pose da divo, ma i nostri hanno impiegato un paio di decenni per costruirsi tale immagine patinata e ciò ricopre ormai parte rilevante per l’essenza della band. Quest’ultima, comunque all’altezza, esegue come bis la perla ‘Wanted Dead Or Alive’ e la iper-vitaminizzata ‘Bad Medicine’ prima del rutilante finale con ‘Shout’, presentazione della band inclusa. Complessivamente piacevole, il concerto dei Bon Jovi ha riscosso ovazioni e calorosi applausi.

TRICKY

Il vero protagonista di questo secondo atto del festival è sicuramente il talentuoso artista inglese Adrian Thaws, in arte Tricky. Capostipite, insieme ai Massive Attack, del genere battezzato trip hop il singer delizia i superstiti dell’autodromo di Imola, rimasti in pochi dopo il main event rappresentato da Bon Jovi, con dieci ispirate composizioni. Coadiuvato da una sezione ritmica spaventosa, un samples-man, una chitarrista e, soprattutto, dalla nuova musa ispiratrice Costanza Francavilla, Tricky, quasi sempre rivolto con le spalle al pubblico e avvolto in una fittissima nuvola di fumo (…), ci dona un’infinità di emozioni come nei duetti sussurrati di ‘Anti-Matter’, dominata da campionamenti assolutamente geniali o dai beat tribali di ‘How High’ entrambe appartenenti all’ultimo ‘Vulnerable’. Da ‘Blowback’ viene proposta la criptica e monolitica nelle ritmiche ‘Excess’. Molti vengono sedotti e trasportati nel mood del ‘diabolico’ funambolo di sensazioni anche nella elegante ‘You Don’t Wanna’. La voce di Costanza è dolce e sensuale, ciò si evince in particolare in ‘Stay’, dove evocativi campioni di violino si stagliano tra ritmiche trip hop e dalla gemma ‘Overcome’ tirata fuori dal cilindro di ‘Maxinquaye’: qui sono sample simil-flauto a giganteggiare, insieme al solito martellamento ritmico. I pochi rimasti fino a tarda notte hanno assistito ad un vero e proprio evento. A suo modo un concerto assolutamente devastante.

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