Incidono per Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa, e questi italianissimi Blind Golem sono di certo una delle band di hard rock più interessanti di questo inizio del 2021, grazie ad un sontuoso esordio a nome “A Dream Of Fantasy”, che riesce sia ad essere un grande omaggio ad una musica mitica e storica, che anche a riuscire a portare questo elemento in una dimensione assolutamente attuale e moderna. Lasciamo dunque la parola a Silvano Zago, chitarra ed a Francesco Della Riva, basso di questi sorprendenti giovanotti veronesi!
Ciao ragazzi, partiamo dalla vostra storia, come siete nati, e con quali obiettivi?
Silvano: Siamo nati dall’esperienza con i Forever Heep, tribute band degli Uriah Heep. Io, Francesco e Andrea sentivamo l’esigenza di produrre musica nostra, con l’idea di mantenere lo stile della navicella madre. Walter e Simone si sono aggiunti con entusiasmo e i Blind Golem hanno preso forma.
Francesco: Sin dall’inizio, non ci siamo posti chissà quali obiettivi: forse iniziamo a essere un po’ troppo anziani per pensare di poter raggiungere chissà quali risultati commerciali, quindi il nostro intento è stato da subito chiaro, realizzare un album secondo certi precisi parametri musicali, togliendoci lo sfizio di farlo solamente alle nostre condizioni, secondo i nostri desideri!
Dopo quanto tempo siete riusciti a trovare un contratto discografico e come mai proprio con Andromeda di Gianni Della Cioppa?
S: Gianni è un nostro vecchio amico e ha già pubblicato con noi i primi tre album dei Bullfrog. L’idea di collaborare anche per i Blind Golem è stata spontanea: l’Andromeda Relix è l’etichetta ideale per questo genere di sonorità e Gianni si è entusiasmato da subito al progetto, seguendo l’avanzamento dei lavori con la serietà e l’onestà che gli è consona.
“A Dream Of Fantasy” evoca immediatamente, fin dal titolo, gli anni mitici dei primi album degli Uriah Heep, sensazione che viene bissata dalla splendida copertina. Perché questo titolo e come siete riusciti a coinvolgere Rodney Matthews, e come avete scelto il disegno adatto?
F: Il titolo è stata una delle prime cose a essere stabilite e, anche se abbiamo aspettato la fine dei lavori per essere certi che fosse coerente con il risultato musicale, non è stato mai veramente messo in discussione. Mi sembra evochi efficacemente la varietà delle atmosfere che l’album presenta, un certo universo sonoro, fatto di tanti umori e situazioni. Inoltre, può essere inteso come la nostra realizzazione di un sogno musicale che da anni abbiamo coltivato.
S: L’idea di Rodney Matthews ci è venuta quasi per scherzo, ma poi abbiamo provato a contattarlo dal suo sito, spiegandogli a grandi linee chi eravamo. Lui è un grande appassionato di musica rock, oltre che batterista. Ci ha inviato una serie di immagini, fra cui quella che poi è diventata la copertina dell’album ci sembrava la più evocativa.
Perché un nome come “Golem Cieco”? E’ un omaggio al cinema espressionista tedesco degli anni 20 e 30? Oppure semplicemente “suona bene”?
S: Tutte e due le cose: amiamo il cinema espressionista e troviamo che il nome suoni bene!
F: Da cultore appassionato anche di oscuri gruppi rock del passato, mi è spesso capitato di stupirmi per la bizzarria di certi nomi: Leaf Hound, Iron Butterfly, Captain Beyond. Mi sembra che Blind Golem sia un po’ in linea con quella tradizione: potrebbe essere il nome di uno sperduto gruppo che fece un unico album su etichetta Vertigo nel 1971 e poi sparì per sempre!
Come è stato ripartito tra voi il lavoro di composizione delle singole canzoni e come ogni membro del gruppo ha dato il suo contributo?
S: Su 14 pezzi, 9 li ha composti Francesco e 5 io. E’ stato un procedimento diverso da quello, più legato alla jam, che di solito usiamo con i Bullfrog; questa volta abbiamo creato al computer dei pezzi già quasi completi, per avere dei piccoli demo da far sentire agli altri. Poi, in sala prove, i brani hanno preso la loro forma definitiva, col contributo di tutti in fase di arrangiamento.
F: E’ stato interessante vedere quanto i brani sono cresciuti e si sono modificati da quei semplici demo casalinghi fino agli arrangiamenti finali: direi che ognuno di noi è riuscito a dare la propria personale impronta e a contribuire in modo importante a come il disco suona. E’ emersa la vera identità musicale dei Blind Golem.
Raccontateci qualcosa del processo di registrazione e produzione del disco, è innegabile che siate riusciti a ricreare una magia in studio, che riecheggia in un suono perfettamente incastrato tra presente, passato e futuro. Come avete fatto?
S: Tutti noi abbiamo già avuto esperienze in studio. In particolare, io e Francesco, con i Bullfrog, abbiamo registrato i nostri dischi nello studio di Fabio Serra, che ci ha fatto anche da co-produttore e col quale c’è un’ottima intesa. E’ proprio come dici tu, abbiamo voluto ricreare un sound tipicamente anni ’70, ma senza voler forzatamente scimmiottare quei suoni. Diciamo che è un sound classico, ma lievemente aggiornato. E’ un tipo di suono che non dobbiamo faticare molto ad ottenere, perché da sempre ce l’abbiamo nelle orecchie, prima ancora che nelle mani. L’importante è avere le idee chiare e anche qualcuno che ti aiuti a realizzarle tecnicamente.
F: Personalmente, penso che, come dice Silvano, sia stata una cosa abbastanza spontanea; io non saprei suonare in un gruppo stile Muse o Red Hot Chili Peppers, ho ascoltato e suonato per 35 anni un certo tipo di rock, ho visto gli Uriah Heep, i Deep Purple, i Magnum dal vivo tutte le volte che ho potuto. E’ naturale che in fase compositiva, esecutiva o di arrangiamenti, certe cose emergano come inevitabili.
Possiamo facilmente parlare di “A Dream Of Fantasy” come un tributo agli Uriah Heep di Ken Hensley e David Byron, ma quali altre influenze secondo voi fuoriescono dalle tracce che avete composto? Per esempio, “Night Of Broken Dreams”, secondo me sta nel mezzo tra “Rain” ma con tocco dei Magnum più epici e pomposi, soprattutto nel ritornello, che ne pensate?
S: Hai centrato in pieno i riferimenti, infatti proprio quel brano è figlio di entrambi i gruppi. Ovviamente il riferimento più immediato per tutto il disco è quello degli Uriah Heep, ma direi che emergono anche molti altri ascolti della musica che amiamo, come appunto i Magnum, i Rainbow, i Deep Purple, gli Atomic Rooster, il Biglietto per l’Inferno. Quello però a cui aspiravamo era di non limitarci a fare un semplice collage di temi triti, ma di dare al tutto la nostra impronta personale e vogliamo credere di essere riusciti nell’intento.
Parlando di Heep, ognuno di voi ha una canzone oppure un album preferito di questa immensa band?
S: Scegliere fra tanto ben di Dio è un’impresa titanica, ma senza pensarci troppo, ti dico: brano, “July Morning” e album, “Salisbury”.
F: Io vado su “Circle of Hands”, lo ritengo uno dei brani più personali e suggestivi del repertorio degli Heep e suonarlo sul palco con Ken Hensley, con il suo Hammond che ti ruggisce nelle orecchie è una delle mie esperienze musicali più belle. Inoltre, come Ken stesso ci ha raccontato, è stato scritto in Italia, durante il loro primo tour nel nostro paese.
Questo disco fa sognare e volare lontano, sia con le musiche che con le liriche? Quali sono le suggestioni che avete voluto evocare attraverso i vari testi?
F: I testi sono stati approcciati come uno strumento alla pari degli altri e sono stati composti in primo luogo con attenzione alla loro musicalità, ritmica e metrica. Gli spunti, anche se possono in un primo momento sembrare legati a tematiche fantasy, in realtà sono legati ad aspetti quotidiani e, talvolta, apparentemente banali della vita: un libro letto, un incontro fatto, una riflessione, un ricordo. Ma il tutto è poi espresso, non raccontato o descritto, per immagini e suggestioni. Un po’ come nel “fanciullino” di Giovanni Pascoli!
Credo che questo album meriterebbe di certo di vedere la luce anche in formato vinile, per mille diversi motivi. Cosa ne pensate, avete un “33 Giri” che custodite come uno dei ricordi più cari?
S: Amo il vinile, è legato a un concetto di vivere la musica anche attraverso un oggetto tangibile e non solo in astratto. Un disco è un’opera completa, che si può apprezzare a più livelli. Oggi purtroppo il modo di ascoltare si è adeguato al mondo virtuale dell’usa-e-getta, ma per fortuna c’è uno zoccolo duro di appassionati che resiste, senza i quali non avrebbe più senso pubblicare dischi. Sono legato a molti dei dischi della mia collezione: molti di loro, in gioventù, hanno significato mance settimanali messe via, viaggi in altre città alla ricerca di titoli introvabili, immersioni a capofitto nelle bancarelle dei mercatini. Ora è tutto più facile, ma quelle sensazioni restano per sempre.
F: E’ vero, per quasi tutti i vinili che ho, penso potrei ricordarmi di quando e dove sono stati acquistati, con chi ero, di cosa si parlava quel giorno. Per esempio, ricordo quando acquistai il primo album dei Wicked Minds, in vinile apribile, nel negozio della Black Widow a Genova, durante una vacanza in Vespa da Verona con il mio amico Leonardo, nel 1994; il viaggio di ritorno fu un’odissea, tra temporali e imprevisti, per riuscire a tornare a casa senza rovinare il prezioso album!
“A Dream Of Fantasy” contiene ben 14 pezzi, ed a parte un paio di episodi, punta più sulle atmosfere che sulla velocità esecutiva, avete preferito rallentare un po’ il ritmo oppure semplicemente avete seguito il vostro istinto quasi “progressive”?
F: L’idea, già dalla fase compositiva, era quella di non limitarci a un solo aspetto della nostra musica ma di spaziare il più possibile, come del resto facevano anche gli Uriah Heep nei loro primi album: non c’era solo hard rock veloce ma influenze diverse e molto varie. Abbiamo cercato di coprire un po’ tutte le basi e di toccare molte atmosfere; certo, il lato più viscerale ed energico ma anche i momenti più riflessivi e le aperture prog. Questo dà carattere all’album, credo.
C’è una canzone del disco di cui siete del tutto soddisfatti o che secondo voi rappresenta al meglio i Blind Golem? Oppure ci consigliate di ascoltare tutto il disco e prenderci tutto il tempo per assaporare al meglio il vostro sound?
S: Il mio consiglio, ovviamente, è di ascoltarselo tutto, prendendosi il tempo necessario, per apprezzare appieno il percorso che abbiamo voluto tracciare.
Ma mi sforzo di citarti tre brani: “Bright Light”, un tipico mid-tempo Hard Rock; “The Ghost Of Eveline”, il brano più prog-oriented del disco; e infine, “The Day Is Gone”, una ballad che vede la presenza magnetica del grande Ken Hensley.
F: Io dico, tutto l’album! Nessun brano rappresenta al 100% la nostra identità, tutti ne colgono un aspetto. Del resto, il disco funziona un po’ come un sogno o un incubo a lieto fine, dalla partenza shock di “Devil in a Dream”, attraverso molte avventure, fino al risveglio finale, più riconciliato, di “A Spell And A Charm”.
Arriviamo a Ken Hensley. Ha suonato nel vostro disco e alcuni di voi lo conoscevano e ci hanno suonato insieme. Che tipo di persona era e come siete riusciti a convincerlo a partecipare in “The Day is Gone?”. E’ riuscito ad ascoltare l’album finito e cosa pensava delle vostre canzoni?
F: Io ho conosciuto Ken 7/8 anni fa, tramite Simone che aveva già suonato con lui in precedenza. Prima di conoscerlo, per me Ken era un idolo, come Ritchie Blackmore, Paul Rodgers, e tanti altri. Conoscendolo, ho scoperto una persona che era invece molto buffa, divertente, molto giovanile, autoironica, pronta a raccontarsi sempre con trasparenza. Sul palco, il suo carisma musicale risultava sempre evidente e lo faceva diventare una forza magnetica e positiva. Dopo uno dei concerti dei Forever Heep, gli menzionai la nostra intenzione di dare vita al progetto Blind Golem, lui ci diede il suo placet e ci invitò a mandargli qualche brano perché sarebbe stato disponibile ad aiutarci in qualche modo. Ci accordammo quindi per “The Day Is Gone”, pezzo che, dopo il suo intervento, trasuda a mio giudizio, di quello “spirito Heep” così inconfondibile. Non è riuscito ad ascoltare il prodotto finito e questo è l’unico rimpianto personale che ho riguardo l’album. Mi piace pensare che sarebbe stato contento per noi, per il nostro piccolo sogno realizzatosi.
Purtroppo, la morte di Hensley ha avuto risonanza ma forse, non come avrebbe realmente meritato. Qual è secondo voi il suo lascito più prezioso?
S: forse la dimostrazione di come si può essere un grandissimo musicista senza essere per forza un virtuoso dello strumento. E’ la vittoria della sostanza sull’apparenza.
F: Ken Hensley è stato un grande hammondista, un grande chitarrista slide, ma prima di tutto, a mio giudizio, è stato un grande compositore rock. Ha immaginato un approccio, quello degli Heep, che prima semplicemente non esisteva. Altri gruppi, penso ai Deep Purple o ai Black Sabbath, hanno sviluppato percorsi per certi versi paralleli, ma i mondi fantastici di “Demons & Wizards” o “Magician’s Birthday” sono una cosa personalissima, che esprimono un approccio al songwriting da vero maestro.
In attesa di poter tornare a suonare dal vivo, quali sono i vostri piani per il 2021? Dovremo aspettare molto per un nuovo disco, e dove vi porterà, musicalmente parlando?
F: Nella situazione in cui ci troviamo è veramente difficile fare programmi concreti. Avremmo voluto presentare l’album dal vivo, invitare amici e colleghi musicisti a condividere questa musica. Questo non è possibile, al momento, quindi cerchiamo di promuovere la nostra musica con interviste come questa. Certo, lo sbocco naturale di questa situazione è che stiamo componendo nuovo materiale per il futuro, le idee non mancano ma dove questo ci porterà non lo sappiamo. Proseguiamo un passo alla volta, senza troppi patemi. Ci piacerebbe stampare l’album in vinile, ci piacerebbe toglierci qualche altra soddisfazione musicale. Vedremo!
Oggi è veramente importante la fantasia, e magari a volte rifugiarsi in un mondo “migliore”, anche grazie alla musica. Dove volete portare l’ascoltatore con “A Dream Of Fantasy”?
Francesco: Ovvio, sulla pagina Facebook dei Blind Golem per acquistare il nostro cd!