Recensione: Black Widow

Non ho capito né digerito la svolta stilistica dei The Dogma. Avevo da tempo considerato la band anconetana una valida risposta nostrana agli Edguy, dopo l’interessante e pregevole evoluzione hard rockeggiante dell’ultimo “A Good Day To Die”. I The Dogma erano riusciti a scrollarsi intelligentemente di dosso le digressioni power oriented degli esordi, grazie ad una lettura del genere maggiormente scanzonata, ma non per questo scevra di buone idee, proprio come la creatura di Tobias Sammet. L’ultimo “Black Widow”, però, pur riprendendo alcuni stilemi di “A Good Day To Die”, gioca la carta del metal estremo, inserendo spesso e volentieri vocals growls e ruvidi passaggi di death svedese, che a fatica si amalgamano alle chitarre di scuola hard rock e agli hammond in bella evidenza. Non mi ha convinto l’opener “Dirty Dark Diane”, un inizio in sordina con un pianoforte dolce e sussurrato, per una semiballad fin troppo canonica. Si cambia marcia con “Mindfreak” uno dei momenti migliori di “Black Widow”, tra sferzate di chitarra e linee vocali coinvolgenti, nella migliore scuola Edguy. Con la song numero tre, “Eternal Embrace”, iniziano gli esprimenti ed il cantato in growl fa l’effetto di un pugno in un occhio, come un dipinto d’arte moderna esposto ad una mostra di Caravaggio. Ho da sempre promosso gli atti di coraggio, la voglia di osare e cambiare pelle, per evitare di ripetersi all’infinito pubblicando album in fotocopia, ma non sempre evoluzione fa rima con maturazione. E’ questo il caso del nuovo disco dei The Dogma, a detta di chi scrive un mezzo passo falso, che potrebbe lasciare spiazzati i fans di vecchia data. I ragazzi di Ancona si confermano nuovamente dei musicisti con la m maiuscola e l’abilità emerge tutta negli arrangiamenti, come nella brillante “Gore Gore Girls”, ma la frittata è ormai stata fatta. Che voi siate già fan dei The Dogma o sia la prima volta che vi avvicinate alla band, siete stati avvertiti: ciò che troverete in “Black Widow” è un ibrido che spiazza al primo ascolto, punto d’incontro tra due generi fin troppo distanti. Qualcuno potrebbe anche appoggiare su tutti i fronti la scelta dei nostri, il sottoscritto si augura al più presto una retromarcia.

Alessandro Battini

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E’ il sinfonico della compagnia. Dai Savatage ai Dimmu Borgir, passando per i Rhapsody, predilige tutto ciò che è arricchito da arrangiamenti sontuosi ed orchestrazioni boombastiche. Nato e cresciuto a pane e power degli anni ’90, si divide tra cronache calcistiche, come inviato del Corriere Dello Sport, qualità in azienda e la passione per la musica. Collezionista incallito di cd, dvd, fumetti, stivali, magliette dei concerti, exogini e cianfrusaglie di ogni tipo, trova anche il tempo per suonare in due band.

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