Recensione: Grimmest Hits

Quattro anni or sono “Catacombs Of The Black Vatican” rappresentò per il sottoscritto uno dei migliori dischi dell’annata. Trovandoci ora di fronte a “Grimmest Hits”, nuovo lavoro dei Black Label Society, è con una certa delusione che dobbiamo constatare di essere al cospetto di un album solamente discreto, in cui non si respira affatto la magia che pervadeva il precedente capitolo della band.

Fermiamoci però con i paragoni con il passato e valutiamo la nuova creatura di Zakk Wylde per ciò che è, ovvero un platter in ogni caso solido, intriso della miglior tradizione southern rock e che ci regala svariati bei momenti. Il mestiere, il gusto compositivo e l’abilità strumentale del musicista del New Jersey non sono certo mai in discussione e anche stavolta non possono non pesare sul risultato finale.

Le belle canzoni infatti non mancano neppure a questa tornata: partiamo ad esempio dalla opener/singolo apripista “Trampled Down Below”, song massiccia e dall’animo blues. Coglie nel segno subito dopo l’hard rock più sbarazzino di “Seasons of Falter”, così come si fa apprezzare alcune tracce più tardi “Room Of Nightmares”, la cui breve durata aiuta a tenere in piedi un pezzo bello carico e trascinante. Ci piacciono anche la sentita e sofferta “A Love Unreal” e, sempre per rimanere in tema di brani dalla durata sostenuta, la leggiadra ballad “The Day That Heaven Had Gone Away”. Merita un discorso a parte la sabbathiana “Disbelief”, che nel suo riff portante di chitarra cita smaccatamente la mitica “A National Acrobat” dei padrini di Birmingham: dopo tutto Wylde non è però nuovo agli omaggi alla band di Ozzy Osbourne, suo compagno di palco per svariati anni, e il pezzo in sé non è poi così malvagio.

Ciò che non ci convince granché sono invece alcune tracce prive di mordente e decisamente standardizzate, che nel loro anonimato finiscono per fare la figura dei filler: citiamo a tal proposito “The Betrayal”, “All That Once Shined” e “Illusions Of Peace”. “Bury Your Sorrow” è un altro omaggio ai Black Sabbath, ma meno riuscito del precedente, mentre le altre due ballate del lotto, “The Only Words” e “Nothing Left To Say”, sono abbastanza insapori e non ci emozionano come dovrebbero.

Tirando le somme, “Grimmest Hits” appare a fine disamina come la classica occasione mancata: le canzoni per comporre un disco molto buono, anche se non al livello del capolavoro uscito nel 2014, c’erano tutte, ma purtroppo un livello medio non sempre all’altezza inficia la qualità generale dell’opera. L’album si muove perciò fra luci e ombre, costituendo un lavoro apprezzabile, ma non certo fra i migliori dei Black Label Society.

Matteo Roversi

view all posts

Nerd e metallaro, mi piace la buona musica a 360 gradi e sono un giramondo per concerti (ma non solo per questi). Oltre al metal, le mie passioni sono il cinema e la letteratura fantasy e horror, i fumetti e i giochi di ruolo. Lavorerei anche nel marketing… ma questa è un’altra storia!

0 Comments Unisciti alla conversazione →


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Login with Facebook:
Accedi