La data italiana del tour dei Behemot, domenica 28 Aprile al Thunder Road di Codevilla (PV), è stata anche l’occasione, per quattro band italiane della scena metal estrema, di farsi conoscere al pubblico: peccato che, la serata organizzata dalla fanzine “Nihil”, abbia avuto uno seguito di pubblico abbastanza deludente (non si è raggiunto neppure le 100 persone paganti, in un locale che ne può ospitare circa 1000!), sintomo che spesso, le lamentele di molti metal kids per l’ideazione di manifestazioni di questo tipo, non sono altro che la classica sindrome del “piangersi addosso” che si sta diffondendo anche nell’ambiente metal. E dire che, oltre agli headliner polacchi, forti di una nutritissima discografia che ha in “Antichristian Phenomenon” il suo capitolo più recente, anche alcune band di supporto non erano del tutto sconosciute, basti pensare ai toscani Handful of Hate o ai capitolini VII Arcano. Comunque, chiuso lo spazio “Savonarola contro tutti”, passiamo alla serata che si è aperta con la proposta, tutt’altro che convincente, dei Bastard Saints, quartetto dedito ad un particolare stile di grind metal, con reminiscenze brutal death e la voglia d’ispirarsi alla follia sonora dei Dillinger Escape Plane. Il risultato: il desiderio del sottoscritto di prendere una Neocibalgina per il mal di testa!! La ricerca di una cacofonia così esasperata e violenta da parte del four-piece (autore di uno split-CD con i Nefas), nonostante alcune buone idee del chitarrista, oltre a rendere assolutamente indigesti i pezzi, ha dato l’impressione che i brani non avessero la benché minima organizzazione e che le linee vocali del cantante, molto legato (pure troppo!) allo stile brutal death, fossero messe lì totalmente a casaccio, sintomo che anche le idee sono, ora come ora, tutt’altro che chiare. Si spera in un futuro migliore. Dalle brutali atmosfere dei Bastard Saints, si passa alle oscure ed arcane composizioni dei padovani Abhor, quintetto dedito ad un black metal sinfonico e che predilige i mid-tempos di stampo doom, piuttosto che alla feroce aggressione della tradizione black nordica. Immagine e sound, estremamente confuso e con una pessima chitarra, molto fedele alla scuola italiana del black esoterico e con riferimenti medievali (ridotti al minimo, però, nella formazione capitanata dal vocalist Ulfhednir) come Mortuary Drape ed i loro vicini di casa Evol; questi i punti salienti di una performance che non è stata certo esaltante per l’eccessiva monotonia dei brani proposti, ma che ad un certo numero di spettatori non è dispiaciuta, anche per il solo fatto che il five-piece veneto ha comunque dimostrato di aver già bene in testa le proprie coordinate stilistiche. Premio speciale del festival del “cinghiale satanico” per la maschera del cantante Ulfhednir: una specie di versione macabra dei muppets. Spazio alle “dolci note” (almeno per il sottoscritto) del thrash/death di fine ’80 proposto dai VII Arcano, formazione romana con all’attivo un 7 pollici, un promo CD ed un CD full lenght, l’ultimo loro lavoro “Inner Deathscapes”. I quattro thrasher laziali, lei cui radici musicali possono essere ricondotte a Sadus, Dark Angel degli esordi (“Darkness Descends” soprattutto) ed alcuni riferimenti a Kreator e Destruction, mostrano aggressività, buone capacità tecniche (nonostante dei suoni non impeccabili) ed un songwriting abbastanza dinamico ed accattivante. Certo, la proposta in molti punti è ancora legata, in maniera palese, ai capisaldi del genere e la personalità del combo romano deve ancora essere modellata, insieme ad alcune scelte stilistiche come la voce di Mirko Scarpa, brutale ed oscuro mix tra Ron Reinhart (Dark Angel) e qualcosa di David Vincent di “Abomination of Desolation”, a volte poco consona e non abbastanza dinamica rispetto ai brani, così come il drumming leggermente legato di Gilles Schembri, non sempre fluido, ma le qualità ci sono ed i quattro ragazzi della capitale si dimostrano promettenti ed in grado di offrirci gradite sorprese per il futuro. Sicuramente non legati ed a proprio agio in sede live, grazie alla notevole esperienza accumulata, sono apparsi i toscani Handful of Hate, portabandiera della frangia più estrema e tradizionalista del black nazionale. Sicuri, maligni e spietati nell’eseguzione delle track tratte dai loro due full-lenght “Qliphotic Supremacy” e “Hierarchy, oltre che dal mini “Blood Calls Blood”, gli Handful of Hate mostrano nelle laceranti ritmiche di chitarra della coppia Mazzoni/Alcara, nel drumming forsennato di Gionata Potenti e nella gelida e disumana performance vocale del bassista Nicola Bianchi, i loro tratti distintivi che ne fanno una formazione dalla precisa personalità. Il loro show non ha un momento di respiro, i brani proposti sono vere e proprie tempeste di gelo nordico, abrasive come scaglie di ghiaccio sulla pelle e riportano alla mente gli oscuri scenari musicali del black norvegese degli Immortal delle prime release, anche se i 4 toscani mostrano una certa fluidità nelle loro ritmiche che il minimalismo scandinavo non sembra avere. Certo, a lungo andare la proposta del four-piece italiano (almeno per i gusti di chi scrive) può risultare un po’ indigesta e dare l’impressione di una certa staticità, ma per i fedelissime del genere, la performance degli Handful of Hate, che con la loro ferocia riescono a creare quasi un’aura ipnotica attorno a loro (complice una presenza scenica volutamente asciutta e distaccata, ma non certo priva di personalità) ed a meritarsi gli applausi tributati loro dal pubblico del Thunder Road. Si giunge così, agli headliner della serata, i polacchi Behemot, che, dopo un lunghissimo soundcheck, calano con tutta la loro ferocia bellica sui presenti, accorsi nella quasi totalità, per assistere allo show della band di Nergal e soci, fautori di un death metal dalle tinte epico-guerriere, sviluppato nella seconda fase della loro carriere dopo gli esordi black metal di “Endless Damnation” e “Return of the Balck Moon”. Il fuor-piece polacco gode dei migliori suoni della serata e le granitiche chitarre che macinano riff possenti e serrati, supportati da una sessione ritmica impressionante per velocità e robustezza, catturano subito l’entusiasmo dei presenti che partecipano, grazie a composizioni sì in linea con la tradizione death metal (molti i richiami ai Vader), ma con quel tocco di fluidità melodica ed incedere marziale che potrebbe valere al combo dell’est Europa l’epiteto di “Grave Digger versione death”. C’è da notare, però, che la formazione capitanata dal cantante/chitarrista Nergal, non eccelle per incredibile originalità nelle proprie composizioni, né per mostruosa varietà, ma sa suonare, ha impatto e groove e questo sembra mettere in secondo piano lacune di questo tipo, come anche una presenza scenica ed un feeling con il pubblico non certo all’altezza dei toscani Handful of Hate. Lo show “scivola via” (o meglio, schiaccia tutto ciò che trova) senza picchi particolari ma neppure senza cedimenti o cali di tensione ed al termine dell’ora circa a disposizione dei Behemot il pubblico tributa la (meritata) ovazione ai deathers polacchi per una performance intensa e senza fronzoli. Termina così la serata organizzata, molto bene, dalla fanzine Nihil, non nuova a queste iniziative, ma rimane una certa delusione per la scarsa partecipazione di pubblico; il brutto è che, probabilmente, ci ritroveremo a sentire le solite lamentele sull’assenza di concerti metal di questo tipo, pronunciate da facce che non si sono mai viste a serate come quella di domenica. Qualcuno mi sa dire il perché?