Recensione: Rouge

A distanza di un solo anno gli italiani Be The Wolf sono pronti a tornare in pista con un album, “Rouge“, che ci restituisce una band maturata e ispirata. E la maturazione della band passa attraverso una trasformazione del sound e dell’approccio alla composizione che, in un lasso di tempo così breve, ha quasi dell’incredibile. Ascoltando, infatti, le dieci tracce che compongono questo disco restiamo folgorati dalla bellezza e dalla eterogeneità dei brani capaci di spaziare dal Rock più duro e aggressivo al Blues, dal Funky ad atmosfere più commerciali con estrema facilità e sempre con una grande e ricercato gusto per la melodia. Quest’aspetto è sicuramente il più innovativo e vincente, che consente ai Be The Wolf di compiere un deciso salto di qualità e porli all’attenzione dei media.

L’apertura è affidata a “Phenomenons“, brano potente e adrenalinico, ponte ideale con il precedente “Imago” [questa la nostra recensione] sebbene non manchino anche in questo caso differenze evidenti. L’attitudine più sfrontata e Punk dell’esordio lascia posto a un Rock più classico, che ama contaminarsi e lasciar emergere le diverse anime dei singoli componenti. E la successiva “Down To The River” ne è una prova lampante: dopo un inizio così elettrizzante giunge una ballad bluesy intimistica e riflessiva, in cui la voce di Federico Mondelli poggia su un tappeto acustico dal grande impatto emotivo. Ma non finisce qua, perchè “Animals“, sorretta da un basso molto funky, è un brano viscerale, sinuoso, che si insinua nella testa e non vi lascia più. In apertura parlavamo di apertura verso sonorità commerciali, più mainstream, e in questo senso “Blah, Blah, Blah” ha tutte le caratteristiche del singolo radiofonico in grado di conquistare con il suo ritornello orecchiabile e un’approccio molto ironico e sottile. La prima metà del disco viene, idealmente, chiusa da “Shibuya“, canzone che rinsalda il rapporto con la terra del Sol Levante e ammalia con la sua melodia catchy e sognante.

La seconda parte del disco riparte con brani che alternano quanto di ottimo abbiamo fin qui ascoltato. Il Rock sfrontato di “Gold Diggers” lascia il posto alla splendida “Peeps“, in cui il ritmo è dettato ancora una volta dal basso saltellante di Marco Verdone e dalla batteria di Paul Canetti sempre ispirata. “Rise Up Together” ha una forte connotazione live, un ritornello anthemico che siamo certi farà sfracelli dal vivo mentre la successiva “The Game” rappresenta l’ennesimo brano diretto e immediato, in cui ritornare a pestare forte il pedale dell’acceleratore. La chiusura è affidata a “Freedom“, canzone che pone il suggello a un ottimo album. E libertà è anche la parola che meglio di altre può descrivere questo “Rouge“. La libertà di uscire dagli schemi, la libertà di dare ascolto alla propria voce interiore e incidere un disco che spiazzerà i tanti detrattori che si prestavano ad ascoltare una copia carbone del precedente “Imago“.

I Be The Wolf hanno pescato il Jolly dal loro mazzo di carte e ci hanno regalato un disco che è una sorpresa per l’enorme qualità messa in campo, un disco che in questo 2016 non passerà inosservato.

Be The Wolf Rouge Cover Album 2016

Pasquale Gennarelli

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"L'arte per amore dell'arte". La passione che brucia dentro il suo cuore ad animare la vita di questo fumetallaro. Come un moderno Ulisse è curioso e temerario, si muove tra le varie forme di comunicazione e non sfugge al confronto. Scrive di Metal, di Fumetto, di Arte, Cinema e Videogame. Ah, è inutile che la cerchiate, la Kryptonite non ha alcun effetto su di lui.

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