Recensione: THE DEATH OF PIECE OF MIND

I Bad Omens sono da sempre un’anomalia nella scena core mondiale. Lanciati da Sumerian Records con il loro self-titled nel 2016, il disco fu accusato fin da subito di suonare un po’ troppo simile a “Sempiternal”, classico del metal moderno firmato Bring Me The Horizon. Che le critiche fossero fondate o meno poco importa, il sottoscritto nota le somiglianze ma di tutta risposta il disco mi è sempre piaciuto un sacco, non c’è nulla di male ad appropriarsi di un suono (per di più abbandonato praticamente subito dai Bring Me con l’uscita di “That’s The Spirit”) e costruirci sopra qualcosa di personale. Fatto sta che il quartetto di Richmond è da allora alla ricerca di un’identità che gli ha portati al rilascio di “THE DEATH OF PIECE OF MIND”, sempre sotto Sumerian, il 25 febbraio di questo infame 2022. 

No, il disco non c’entra nulla con Sempiternal. Come non centrava nulla “Finding God Before God Finds Me”, seconda fatica della band datata 2019. I Bad Omens sono un’entità artistica ormai dettata dalla sperimentazione ed il nuovo lavoro ne è la lampante prova. La opener “CONCRETE JUNGLE” è un riassunto perfetto di cosa aspettarsi dai restanti 50 minuti buoni. Un costante crescendo di intensità, chitarre e batterie singhiozzanti, un basso che forse neanche esiste e soprattutto tanta, tanta elettronica. Ah, ed una performance vocale di Noah Sebastian su cui voglio soffermarmi dopo. Dicevo, i synths dominano le frequenze per tutta la durata del progetto, con le chitarre poco in mostra e spesso vittime del solito riffing alla Architects che mi tocca citare in tutte le recensioni, come in tracce quali “Take Me First” o “The Grey”. La scelta è però giustificata da due motivi principali: i Bad Omens non hanno mai strafatto a livello di riffing e la parte elettronica è decisamente uno dei punti di forza del disco. Personalmente, preferisco un muro di sintetizzatori interessanti rispetto ad un’insalata di riff blandi (che sfortunatamente sembra un po’ il modus operandi del genere ultimamente). Quindi, ben vengano tracce come “What It Cost”, basata sul singolo loop di un beat di Travis Barker schiacciato allo sfinimento, o la lo-fi “Who are you?”, che ammorbidisce non di poco l’impatto dell’album. Per non parlare della title-track, la cui origine pare essere un Noah annoiato che, in quarantena, campiona oggetti di casa quali cuscini, chiavi e aspirapolveri. Sfortunatamente, la vena dinamica ma prevedibile del progetto, che nonostante sto vendendo come se fosse un tranquillo disco edm si porta comunque dietro una certa cattiveria e pesantezza (esempio dissacrante: “ARTIFICIAL SUICIDE”, che sarebbe perfetta per un nuovo ipotetico Doom), collide con la decisione tirare la tracklist così a lungo. Il mio primo ascolto è stato pesantemente penalizzato dal fatto che, soprattutto intorno a “Who are you?”/”Somebody else.”, iniziava a pervadere un filo di noia. Può non aiutare l’ascoltatore a terminare tutte le tracce, inoltre, la produzione volutamente claustrofobica, compressa e robotica cercata dai quattro, che spedisce il disco nei territori dell’industrial più artificiale. Nonostante ciò, non mi vergogno a dire che sono letteralmente in fissa con “THE DEATH OF PIECE OF MIND”, e non riesco a staccarmene dal giorno che è uscito. Sarà la sfrontata originalità del progetto, le liriche davvero fantastiche e in cui è spaventosamente facile immedesimarsi (da cuori spezzati a maledire la società odierna in un battito) anche grazie alla capacità da scrittore di Noah. Noah che, oltre ad essere uno scrittore formidabile, accreditato come compositore principale di tutti i pezzi e non solo a livello di testi, si è davvero superato per quanto riguarda la sezione canora. Decisamente IL punto forte di “THE DEATH OF PIECE OF MIND”, la performance del frontman è super ispirata, mai banale, in costante mutamento ed incredibilmente catchy. Potrei prendere letteralmente qualsiasi melodia del disco, spiattellarla in questa frase ed aggiungere”… è la melodia più bella del disco”. Gli screams, anche se molto meno presenti, restano belli arroganti. Il cantato alla Oli Sykes salta ancora fuori di tanto in tanto (timbriche simili, che ci volete fare), ma spesso è volentieri ci ho sentito quel non so che di Spencer Sotelo, ed altre grandissime voci nel panorama metal odierno. Al primo ascolto del lead single, che fu la fantastica title-track, ho dovuto informarmi su quando la band avesse cambiato cantante, per scoprire che nonostante il taglio di capelli, a fare da vocalist era sempre Noah, ma con una maturità vocale invidiabile e francamente sorprendente. 

THE DEATH OF PIECE OF MIND” non è un disco per tutti. La combo sperimentazione/oretta buona di musica è un mezzo suicidio nel 2022. Però è decisamente un disco per me, e per chi vede di buon occhio le vene sperimentali nei loro ascolti metalcore. Se anche solo mezzo commento in questa recensione vi ha incuriosito, il mio consiglio vivissimo è di dare un ascolto a questa piccola perla a testa sgombra. Un avvertimento però, potreste finirci in fissa totale. Non dite che non vi ho avvisati/e.

Matteo Pastori

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Nerd ventiquattrenne appassionato di tutto ciò che è horror, bassista a tempo perso e cresciuto a pane e Metallica. La musica non ha mai avuto etichette per me, questo fa si che possa ancora sorprendermi di disco in disco.

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