Recensione: Devil’s Bell

Sano e diretto metal classico, senza fronzoli: questo è, molto semplicemente “Devil’s Bell”, settima fatica discografica dei norvegesi Audrey Horne, che – per chi ancora non li conoscesse, male! – a dispetto dei richiami lynchiani del loro nome non lo fanno strano, ma non per questo sono meno interessanti.

I punti di riferimento non potrebbero essere più tradizionali, dagli Iron Maiden ai Judas Priest, ma la qualità delle composizioni e l’esecuzione dei brani sono ineccepibili, perfettamente incanalate da una produzione tagliente in un incessante assalto sonoro, guidato dalle chitarre di Arve Isdal/Ice DaleThomas Tofthagen, e sostenuto dalla possente sezione ritmica composta da Espen Lien e Kjetil Greve.

L’epica narrazione di “All Is Lost”, sostenuta dal riffing del chitarrista ospite Frank Hammersland così come la sinistra title track, è un fulgido esempio di potenza e suggestione ed è l’apice di un album di notevole impatto e forza evocativa, una cavalcata che non disdegna intriganti variazioni sul tema metallico, quasi ad abbozzare scenari cupi ed ancestrali, vedi l’incedere ipnotico di “Break Out”, con la voce del cantante Torkjell Rød/Toschie che sembra riecheggiare quella di Ozzy.

Non mancano insospettabili deviazioni verso la furia punk (“Animal”) o al contrarrio verso una maggiore elaborazione (la strumentale “Return To Grave Valley”), fino alla splendida fuga finale di “From Darkness”, che suggella nel migliore di modi un grande album.

Giovanni Barbo

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Appassionato di cinema americano indipendente e narrativa americana postmoderna, tra un film dei fratelli Coen e un libro di D.F.Wallace ama perdersi nelle melodie zuccherose di AOR, pomp rock, WestCoast e dintorni. Con qualche gustosa divagazione.

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