Squadra che vince, non si cambia. E così, la virata al metal classico del precedente album dall’inequivocabile titolo “Pure Heavy” (2014) è confermata in “Blackout”, un platter di puro e semplice hard’n’heavy che ci restituisce gli Audrey Horne in buonissima forma. La derivazione della band dal panorama estremo e le interessanti derive post grunge tinte di dark dei primi album non fanno più notizia, ormai il gruppo ha acquisito un’identità stabile e si è diretto verso un sound energico e disimpegnato che di certo rappresenta un’ottima valvola di sfogo per “gentagilia” come Arve Isdal e Thomas Tofthagen.
In effetti “Blackout” nulla è se non un disco che infila dieci potenziali singoli, canzoni di brillante rock duro piene di adrenalina, melodie sornione e ritornelli ficcanti. La maideniana “This Is War” mette subito le cose in chiaro, tra riffoni veloci e giri di basso pulsante, un refrain arioso che esalta la voce del bravo Toschie e un intrigante assolo. Il singolo “Audrevolution” spinge ancora più in là per sfacciataggine, con il buon Arve “Ice Dale” Isdal che infila un altro assolo gustoso e un refrain che vi ritroverete presto e canticchiare. Tutto funziona benissimo nella sua prevedibilità, in particolare in quei pezzi snelli che non richiedono particolare impegno, ma entrano nelle corde già al primo ascolto: “Blackout”, “Midnight Man”, “Naysayer”.
Difficile selezionare dei brani che si distinguano dagli altri in modo sensibile, soltanto “This One” presenta dei ritmi leggermente più dilatati e accoglie un bel passaggio di hammond, mentre “Satellite” possiede un groove piuttosto moderno e finirà per esaltarci con il suo godibilissimo finale funky. Come ci aspettavamo da una band ormai concentrata su di un sound revivalista, “Blackout” è un album che pesca a piene mani dal bacino più classico degli anni ’70 e ’80 e che riesce a mantenere viva l’attenzione con dei brani coinvolgenti. Tanto basti.