Non avranno ancora raggiunto la fama dei cugini Epica, ma i MaYaN del chitarrista Mark Jansen non hanno nulla da invidiare ad altri per quello che riguarda qualità musicale e visione artistica. L’album di debutto ( “Quarterpast” – recensione) aveva messo in mostra una band eclettica, capace di muoversi con disinvoltura tra le note complesso del metal estremo progressivo e il gusto mai banale per l’arrangiamento sinfonico di classe. “Antagonise” riparte proprio da qui, per infilarsi con decisione nello stretto passaggio tra i generi e creare una nuova opera dal timbro ancora più brutale, con parecchie parti in voce growl, ma anche magniloquente e operistico, grazie alla voce di Laura Macrì e alla presenza di ospiti come Floor Jansen e Marcela Bovio.
Da rimarcare certamente è anche la prestazione di un fenomeno di cantante come Henning Basse, il tutto a completare una batteria di vocalist di prima categoria che permette al disco di svolgere il proprio dovere di perfetto lavoro concettuale e di travolgere l’ascoltatore con un turbinio incessante di variazioni, sovrabbondanza di arrangiamenti e, fortunatamente, partiture musicale dal mostruoso impatto metallico.
“Bloodline Forfeit” apre le danze con una perfezione formale senza debolezze, trascinata da un riff corposo e da aperture melodiche vincenti, ma soprattutto sostenuta da un lavoro incessante di rifinitura operato dalle parti di tastiera (Jack Driessen, ex-After Forever) e da un apporto della ritmica preciso e dinamico. Un’incipit fortunato che però non si riduce certo ad un caso isolato; il canovaccio su cui si basa l’intero progetto gira infatti proprio sull’intento di non lasciar mai cadere la tensione, utilizzando tutte le armi a disposizione per insaporire la musicalità dei brani con elementi diversi e sempre ben armonizzati tra loro.
In canzoni dalla portata epica come “Paladins Of Deceit”, “Lone Wolf” o “Redemption” riecheggia il meglio della scena sinfonica, con rimandi stilistici che portano alla mente non solo, e prevedibilmente, il suono di band affini come Epica o After Forever, ma anche Dimmu Borgir e Kamelot (giusto per fare due esempi distanti). I MaYan però si guardano bene dall’effetto carta carbone e le loro song si ammantano di personalità, soprattutto grazie ad un apporto non minoritario di quel prog metal che oggi pare andato fin troppo in disuso (Dream Theater a parte).
Senza mai diventar astrusi i brani si compongono infatti di passaggi articolati e repentini cambi d’umore, con anche parecchi momenti in cui la forza aggressiva del detah metal prende piede in modo preponderante (“Faceless Spies” – Il video, “Human Sacrifice” – Il video).
D’attualità, nonché particolarmente inquietante, è anche il concept a cui la band ha voluto dedicare l’opera, ovvero le problematiche connesse alla facilità con cui la tecnologia contemporanea si espone ad un controllo globale da parte di chi detiene sufficiente potere per permettersi di sorvegliare la vita altrui, rendendo sempre più astratto il concetto di privacy. Si tratta di un argomento non banale che apre a diverse riflessioni sul futuro dell’uomo e che mostra come i Mayan non siano una band dedita al puro intrattenimento, ma un progetto artistico di peso che anche nelle liriche si ripromette di analizzare aspetti essenziali della vita e della società.