Recensione: Annihilator

Non ci saremmo mai voluti trovare nella posizione di dover valutare il nuovo lavoro di una band metal seminale come gli Annihilator in uno stato di forma così scadente ma questo CD intitolato semplicemente “Annihilator” rappresenta proprio questo; ripetiamo, è triste pensare di essere al cospetto di una delle band caposaldo del techno thrash degli anni ’90 che ormai da tempo pare aver perso la propria bussola stilistica e questo lotto di canzoni è purtroppo lì a dimostarlo.

Quel vero e proprio greatest hits che è stata l’ultima pubblicazione della band canadese, vale a dire il DVD “Live At Masters Of Rock“, non trova un degno successore in questo lavoro che prosegue sulla falsariga del piatto “Metal” (che perlomeno si segnalava per l’estesa lista degli ospiti che davano il loro contributo alla causa); “The Trend” illude abbastanza l’utenza in virtù di un sound classico (c’è anche un richiamo celato a “The Fun Palace”) e la solita maestria chitarristica del leader Jeff Waters che si muove agilmente tra innumerevoli cambi di tempo. Dave Padden di par suo si conferma buon singer senza far gridare al miracolo (molto meglio in sede live) come non fanno gridare al miracolo nemmeno le composizioni di questo lavoro dove a parte l’opener è davvero difficile scovare qualcosa di sufficiente o almeno vagamente riconducibile al livello eccelso degli esordi della band. Peccato!

Alberto Capettini

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Fan di rock pesante non esattamente di primo pelo, segue la scena sotto mentite spoglie (in realtà è un supereroe del sales department) dal lontano 1987; la quotidianità familiare e l’enogastronomia lo distraggono dalla sua dedizione quasi maniacale alla materia metal (dall’AOR al death). È uno dei “vecchi zii” della redazione ma l’entusiasmo rimane assolutamente immutato.

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Annihilator: Live Report della data di Milano

Bellissima serata. Non certo grazie al torrenziale temporale tropicale che si è abbattuto su tutta la Lombardia, ma si sa, un po’ di difficoltà aiuta a godersi maggiormente le conquiste. Arriviamo così al Rainbow dopo un viaggio allucinante durato decisamente più del dovuto, ma per una volta ne è valsa decisamente la pena. Aprono la serata i semi-sconosciuti power-thrasher svedesi DEBASE, infilati in scaletta all’ultimo momento e decisamente poco considerati dai presenti. Lo stile della band si muove tra i Metallica di ‘…And Justice For All’, qualche accenno di Messhuggah semplificati e una propensione maniacale per la pesantezza ritmica. Certamente competenti, ma troppo poco coinvolgenti e non abbastanza personali. Ovvio che la loro esibizione non abbia smosso più di tanto. Dopo qualche minuto arrivano sul palco i Seven Witches. La gradita sorpresa (almeno per il sottoscritto) di Joey Vera inserito nella line-up ha prontamente risvegliato l’attenzione per uno show non così atteso in partenza. Come prevedibile però il lungo set proposto ha evidenziato contemporaneamente pregi e difetti di un gruppo che non ha comunque le doti per affrancarsi dal ruolo di simpatico gregario della scena power americana. Ottima infatti la prestazione strumentale, con Jack Frost e Joey Vera sugli scudi, restano molte perplessità sulle reali capacità di Wade Black, un singer potente ma che finisce con l’appiattire i pezzi a causa della tonalità inespressiva, per poi esplodere in sgraziate urla senza senso. Assolutamente non all’altezza, secondo noi. Ovviamente molti i pezzi pescati dall’ultimo e non trascendentale lavoro, hanno probabilmente convinto maggiormente gli estratti dai più interessanti primi album e soprattutto l’efficace riproposizione della storica ‘See You In Hell’ , cavallo di battaglia dei mai troppo rimpianti Grim Reaper. Buoni, ma solo se presi come aperitivo. Alla cena completa ci pensano senza problemi gli acclamatissimi headliner. Raramente mi è capitato in tanti anni di militanza di assistere ad un concerto di tale intensità. Il micidiale cocktail di potenza, tecnica, melodia e, perché no, simpatia(si, si può essere metallari e anche non vedere tutto nero) sortisce l’effetto sperato: un piccolo gruppo di ‘amici’ condivide una serata all’insegna del puro divertimento, della passione per la musica e della voglia di stare insieme . Per tutta la durata del concerto Jeff, Joe e gli altri distribuiscono strette di mano, smorfie e sorrisi compiaciuti, evidentemente gratificati dalla partecipazione di un pubblico tutt’altro che numeroso ma veramente entusiasta. La scaletta si sposta agilmente tra l’intera discografia della band, ed è così che brani recenti come ‘Torn’ e ‘Ultra Motion’ si affiancano senza fatica ai più classici ‘King Of The Kill’, ‘Set The World On Fire’ e ‘I Am In Command’. Tutto bellissimo: il suono, nitido e potente, e soprattutto la prestazione della band, precisa, aggressiva e straordinariamente coinvolgente. E così ci si ritrova a cantare con loro ogni singola canzone, e a ridere insieme dei personaggi che si fanno strada tra le teste accalcate sulle transenne per salire sul palco a prendersi i loro dieci secondi di popolarità e qualche spintone dai solerti buttafuori. Un clima di familiarità che aiuta a riconciliarsi con tutto e tutti in un’orgia di positività che farebbe invidia a Buona Domenica. Incontenibile la voglia di lanciarsi nel pogo durante ‘Phantasmagoria’, troppa la commozione per ‘Never Neverland’ e ‘Alyson Hell’ per non provare già nostalgia sulla conclusiva ‘Shallow Grave’ lanciandosi nell’ultima liberatoria danza. Alla fine c’è giusto il tempo per rammaricarsi un po’ per la mancata inclusione di ‘Welcome To Your Death’ e per farsi una foto ricordo con qualcuno dei disponibilissimi membri della band. Bravi, bravissimi, anzi di più. Un grazie alla band e tutti quelli che c’erano. Ci vediamo la prossima volta amici e mi raccomando non mancate.

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