Recensione: Angelmaker

Nonostante l’immagine di copertina lasci immaginare un certo tipo di sonorità, più tendente al fantasy metal, gli Overdrive tengono i loro piedi saldamente ancorati al terreno e prediligono le sfumature più tendenti al classico. Sfruttando una buona produzione (elemento sempre costante nelle uscite targate Lion Music) e una voce discreta, la band tenta di attirare l’attenzione su di sé e sulla sua seconda vita. Già, perché gli Overdrive si sono formati una prima volta nel 1980, sono giunti allo scioglimento per poi riformarsi nel 2003 con la formazione originale al completo, fatta eccezione per il cantante. A chi interessano le storie macabre non sfuggirà poi che il brano che dà il titolo all’album parla di quelle donne (realmente esistite fino a un secolo fa) che in Svezia si prendevano cura dei bambini indesiderati uccidendoli, venendo pagate per questo servizio reso alla società. Il giovane Per Karlsson fa poi del suo meglio per coinvolgere e trasmettere un senso di angoscia latente, ma purtroppo ci riesce fino ad un certo punto. La colpa non è soltanto sua: il songwriting è piuttosto abbondante di idee nei testi, ma povero nella resa strumentale, al punto di arrivare a quella pericolosa situazione in cui non si distingue più un brano da un altro. Sono da lodare le intenzioni e la voglia di rivalsa dopo un lungo silenzio (che comunque era già stato rotto nel 2008 con la pubblicazione di ‘Let The Metal Do The Talking’), ma l’album non è certo uno di quelli imprescindibili per chi ama il metal classico.

Anna Minguzzi

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E' mancina e proviene da una famiglia a maggioranza di mancini. Ha scritto le sue prime recensioni a dodici anni durante un interminabile viaggio in treno e da allora non ha quasi mai smesso. Quando non scrive o non fa fotografie legge, va al cinema, canta, va in bicicletta, guarda telefilm, mangia Pringles, beve the e di tanto in tanto dorme. Adora i Dream Theater, anche se a volte ne parla male.

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